Potremmo definirlo “lo sbarco del caso” perché non era previsto a Marsala ma, come lo stesso Garibaldi ha confidato in alcune delle sue memorie, quell’11 maggior 1860, i “mille” avrebbero dovuto approdare a Sciacca. Non lo fecero perché in quelle acque incrociava la flotta borbonica che li costrinse a virare su Marsala. “Il primo progetto di sbarco“, scrive il condottiero, “fu per Sciacca ma il giorno essendo avanzato e temendo d’incontrare incrociatori nemici si prese la determinazione di sbarcare nel porto più vicino di Marsala, 11 maggio 1860“. Troviamo traccia di questo fatto anche dal romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo sbarco dei mille non fu proprio l’epopea che per anni ci hanno propinato, però. Avvenne nella discrezione più assoluta ma, soprattutto, in una città già “liberata” dai borboni con truppe della marina britannica a presidiarla. Non c’era la bandiera borbone a sventolare sul tetto del municipio e di altri edifici ma l’Union Jack. Giuseppe Cesare Abba così descrive l’arrivo di Garibaldi e della sua truppa: ”La città non aveva capito nulla; ma la ragazzaglia era già venuta in turba”. E, finalmente, l’incontro tra i mille e l’esercito regolare. I Borboni? No, gli inglesi! Ecco ancora Abba: “Alle porte della città comparvero gli ufficiali di marina in calzoni bianchi e venivano giù al porto”.
In netto contrasto con le manifestazioni di giubilo che la stragrande maggioranza dei media ancora oggi propinano a tutti, l’unica cosa che accomuna queste due tesi è che c’era l’esercito britannico a proteggere lo sbarco dei “mille”, protezione che poi ha dato il via alla spedizione. Le vere manifestazioni di entusiasmo si ebbero a Sciacca, luogo designato come prima tappa dello sbarco, dove alla notizia dello sbarco a Marsala il 13 maggio iniziarono delle parate con la banda del paese che suonava festante e con la popolazione che scendeva in strada al grido di “viva Garibaldi”. Il tricolore sventolava sul palazzo comunale ubicato in via Mastranza. Insomma, possiamo dire che a differenza di quanto si dice lo sbarco dei mille non è stato benvoluto da tutti ma ha preso consistenza come un fuoco che viene sospinto dall’aria: man mano che arrivavano le vittorie il popolo del sud appoggiava questa causa. A pensarci bene il tipico atteggiamento che ha di solito un italiano. Lo riassume alla perfezione Camilleri quando gli viene chiesto dal suo Camilleri fans club su una rubrica de “il carabiniere”, di descrivere lo sbarco: “In parole semplici, si può dire che la spedizione, composta da gente di ogni parte della penisola e anche da stranieri, è il gesto di guerra che ha dato concretamente inizio all’Unità d’Italia. È un viaggio molto bello, a pensarci bene, perché si tratta di 1.080 persone che s’imbarcano a Quarto su due navi, più o meno avventurosamente si riforniscono di carburante e di quello che serve, eludono la sorveglianza dei militari e arrivano a Marsala. Nella durata di un viaggio, in cui si parla poco l’italiano e molto il dialetto, questa gente eterogenea e raccogliticcia, animata però da uno spirito comune, diventa a poco a poco un esercito”. Sottolineando, così, la capacità del nostro popolo di solidarizzare, “Fatto sta che proprio in mezzo al mare loro iniziano a fare squadra”.
Sbarcano a Marsala e dopo pochi giorni hanno la prima battaglia seria, a Calatafimi, dove si trovano di fronte a soverchianti forze borboniche munite di artiglieria. Eppure vincono. Nel giro di pochi giorni, sono diventati una forza. È sorprendente. Insomma, fin dallo sbarco in Sicilia il nostro popolo ha mostrato i suoi pregi e i suoi difetti: all’opportunismo e allo schierarsi sempre con il vincitore – dopo essere stati su fronti opposti – fa da contraltare l’eroismo e la capacità di fare gruppo nelle situazioni disperate.
Domenico Corsetti