In Italia, spesso, la storia non è molto apprezzata, in molti, forse, non sanno che proprio oggi, nel 1815, la nostra penisola fu martoriata da un’altra guerra, in cui si fronteggiavano due Regni: il Regno di Napoli che appoggiava Napoleone e l’Impero Austriaco che voleva ripristinare il dominio Borbone sulla parte meridionale dell’Italia. L’apice di questa guerra fu la battaglia di Tolentino, che proprio nel 3 maggio vide il suo esito. Una battaglia che durò solo due giorni ma che fu molto cruenta. A capeggiare le due fila c’erano: Federico Vincenzo Ferreri Bianchi, Duca di Casalanza,nato a Vienna il primo febbraio 1768, che si guadagnò il titolo di generale e Duca sul campo, combattendo in numerose battaglie. Mentre per il Regno di Napoli il comandante in capo era Gioacchino Murat Re di Napoli, nato il 25 Marzo 1967 a Labastide-Fortunière, oggi Labastide-Murat.
La prima collisione tra i due schieramenti si ha il 2 maggio,una battaglia che copriva un ampio territorio fra il Chienti e il Potenza, ma possiamo affermare che la zona principale dello scontro fu localizzata tra il fondovalle del Chienti e la strada Macerata-Tolentino, dove si trovava anche il Bianchi in persona a comando delle sue truppe. Ma la deflagrazione vera e propria del conflitto si ha il mattino seguente, ovvero il 3 maggio all’alba, dove sulla riva sinistra del fiume, nei pressi di una taverna e di un ponticello le truppe austriache piazzarono strategicamente la loro artiglieria composta da 12 cannoni,su un promontorio che la rendeva la prima linea ben difesa che era composta da 6000 fanti, un migliaio di ussieri e dragoni (cavalleria). Più in alto strategicamente furono piazzati altri 3000 uomini. Inoltre il Bianchi giunge dal Potenza con altri 1000 uomini, mentre dalla destra del Chienti un altro battaglione e il contingente estense (di Ferrara)composto da 3000 uomini, per evitare di subire una manovra di avvolgimento e per minacciare le ali dell’esercito nemico, per finire due battaglioni furono schierati nelle retrovie come riserva. Alle sei del mattino Murat decide di attaccare con la guardia e il decimo fanteria, giunto sul campo di battaglia da pochi giorni, composto da 6000 fanti, e 800 cavalli, sulla carta insomma le forze si bilanciavano nel primo scontro. Come rinforzo aveva sotto il comando del generale d’Aquino, la seconda divisione, posizionata a Macerata, mentre la terza divisione era stata lasciata inutilizzata ad Osimo e tre battaglioni ad Ancona,un errore fatale.
All’inizio Murat sembra avere la meglio, riesce a conquistare sia la Taverna che l’altura, insomma assapora la vittoria, ma il contrattacco austriaco fu sanguinoso, Murat riuscì a mantenere le posizioni senza però riuscire ad avanzare ancora, mentre l’avanzata predisposta dal Bianchi sulla riva destra del Chienti procede incombendo sulle sue forze. Decide quindi di mandare a contrastare questa avanzata 6 dei dieci battaglioni che compongono la compagnia Lechi, pensando così di minacciare anche alle spalle Tolentino. Mentre al Comandante D’Aquino ordina che con 8 dei sui 11 battaglioni avanzi verso il Potenza, per contrastare il Bianchi, una duplice manovra avvolgente con la quale vuole far cadere le difese nemiche e ottenere la vittoria. Ma l’errore fu non inviare più forze sul lato del Chienti, lasciò troppe forze con se, ma soprattutto lasciò inattive a chilometri di distanza interi battaglioni, con il quale avrebbe vinto battaglia e guerra. Ci fu il caos, il Lechi tardava ad avanzare giustificando il tutto sul fatto che doveva far riposare e rifocillare i suoi uomini, D’Aquino iniziò a disquisire su due cannoni, sul loro posizionamento, prendendo tempo, una volta ottenuti chiede anche la cavalleria, il re non la concede e il comandante opta per uno schieramento a quattro quadrati dei suoi battaglioni, per proteggere i suoi fianchi, uno schieramento non ottimale per il campo su cui si stava combattendo. Ma mentre avanzava si ritrova ben presto a superare prima un fosso scavato dagli austriaci, poi si ritrova bersagliato dai colpi dei fucilieri austriaci di fronte, con il fosso alle spalle e l’artiglieria che colpisce di lato, ben presto le truppe iniziano a retrocedere in maniera confusionaria. La cavalleria nemica a quel punto sembra dare il colpo di grazia, ma solo un contingente di lancieri inviati dal Re riesce a coprire la ritirata. A quel punto il Bianchi comprende che la battaglia si deciderà in alto e non più in basso e concentra le forze in quel punto, riesce ad avere la meglio su tre quadranti delle forze nemiche, viene fermato solo dell’ultimo quadrante.
L’attacco dal basso da parte degli austriaci è stato invece contenuto, ma è innegabile che quello dall’alto sia stato un bagno di sangue per le truppe napoletane. Ma nulla è perduto, le truppe di Meret, non sono riuscite a spezzare le linee nemiche, ma neanche quelle austriache sono riuscite ad aggirare e disintegrare quelle napoletane, che avevano una via di fuga per tornare nel Regno, avendo causato diverse perdite al nemico a corto di rinforzi. Sarebbe bastato resistere, ma proprio in quel momento giunse un corriere dal generale Montìgny, posto a difesa degli Abruzzi, che gli annunciava che gli Abruzzi e la Calabria erano in rivolta e che gli austriaci tramite Antrodoco erano giunti a L’Aquila, con lui che resisteva con scarse forze all’altezza di Popoli. Il re ordina dunque la ritirata verso Macerata, ma anche qui ci fu il caos. Ordini mal eseguiti o mal compresi, gli austriaci in quella confusione, in quella ritirata scomposta ne approfittarono per infierire e dare un colpo forse decisivo alle forze Napoletane. Alla fine l’esercito di Meret conterà in soli due giorni 1800 tra morti e feriti gravi, tra cui 71 ufficiali, ma soprattutto 2000 uomini caduti prigionieri del nemico. La compagine del Bianchi avrà invece 1100 tra morti e feriti e solo 323 prigionieri. Le conseguenze di questa battaglia furono enormi, il re mostrò la propria debolezza nel gestire le situazioni e gli austriaci presero coraggio e soprattutto spinta da questa battaglia per ottenere così la vittoria, che giunse anche per la sconfitta di Napoleone a Waterloo, il regno tornò in mano agli austriaci e sul trono salì Ferdinando IV.
Domenico Corsetti