“Non potevo tenermelo dentro, il cielo sa che ci ho provato. Non lasciarli entrare, non lasciarli vedere, sii la brava ragazza che devi sempre essere. Tienilo segreto, soffoca i tuoi sentimenti, non farglielo sapere… beh, adesso lo sanno!”. È facile leggere in queste parole un’allusione al conflitto interiore di una persona omosessuale costretta a nascondere il proprio orientamento sessuale. “Non mi interessa cosa diranno gli altri”, “Le paure che un tempo mi dominavano ora non possono più toccarmi”, “Non tornerò mai più indietro, il passato è nel passato”: non sembrano forse le parole di un coming out? E se a pronunciarle fosse stata una principessa Disney?
È andata proprio così. A dire, anzi, a cantare queste parole è stata Elsa, la popolarissima eroina del film Disney “Frozen” (2013), nel brano “Let It Go” (che è stato premiato con l’Oscar alla Migliore Canzone, anche perché a interpretarlo è stata la celebre star di Broadway Idina Menzel). La canzone sembra un vero inno al coming out e in molti ne hanno interpretato il testo come l’allegoria – nemmeno troppo velata – di una dichiarazione aperta della propria omosessualità (o identità di genere, per dirsi voglia). Elsa sembra la candidata perfetta per diventare la prima principessa Disney dichiaratamente gay; così, sui social è nato l’hashtag #GiveElsaAGirlfriend. Un’assurdità? Sembra proprio di no: il sequel di Frozen è già in cantiere (uscirà a novembre 2019) e la co-regista e sceneggiatrice Jennifer Lee non ha voluto confermare né smentire questa possibilità, così come Idina Menzel. Qui sta l’inghippo.
In realtà, Elsa non sarebbe il primissimo personaggio gay dell’universo animato Disney. In “Alla ricerca di Dory” (2016) appaiono brevemente due donne che spingono assieme un passeggino. Sono una coppia lesbica? Il co-regista ha dichiarato: “Possono essere qualsiasi cosa. Non c’è una risposta giusta o sbagliata”. E Le Tont, il goffo aiutante del prepotente Gaston nel remake de “La Bella e la Bestia” (2017)? Il regista del remake ha dichiarato che Le Tont è “confuso” e che nel film avrebbe avuto un “momento gay”: in effetti, nella scena finale, si intravede Le Tont danzare felice assieme a un altro uomo. Tuttavia, il personaggio di Le Tont non ha un ruolo particolarmente importante o positivo nella storia, essendo l’aiutante del cattivo: non il massimo della rappresentazione LGBT. Ma il problema principale sta nel fatto che Le Tont sia un personaggio unidimensionale: la sua personalità coincide con la sua sessualità – non c’è molto altro. Ancora peggio, a molti è sembrato che Le Tont sia stato “reso gay” apposta, come per una mossa di marketing. Anzi, un caso di queerbaiting.
Che significa queerbaiting? La storia della parola “queer” è lunga e complesse sono le sue implicazioni; per farla breve, diremo che in questo caso è usata come un sinonimo di “LGBT” (sigla per “lesbiche, gay, bisessuali, transgender”). “Bait” significa “esca”. Fare queerbaiting significa dunque “adescare le persone queer”, ma anche “usare le persone queer come esca”. L’arte del queerbaiting è sottile, e si gioca tutta sul filo della controversia e dell’ambiguità. Quando si parla di queerbaiting bisogna tenere innanzitutto a mente che la rappresentazione mediatica della comunità LGBT è scarsa, sia quantitativamente che qualitativamente (anche se in questi ultimi anni sono stati fatti dei passi da gigante: basti ricordare “Moonlight” di Barry Jenkins, che l’anno scorso si è aggiudicato l’Oscar per il Miglior Film). In quest’ottica, le tematiche LGBT vengono percepite come inevitabilmente controverse. Ma in questo caso vale il celebre motto di Oscar Wilde: “C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé… ed è il non far parlare di sé”.
Fare queerbaiting significa sostanzialmente questo: sfruttare in modo utilitaristico e insincero (come esca, appunto) le tematiche LGBT, senza prendere tuttavia una posizione chiara a riguardo. La forma più diffusa di queerbaiting consiste nel rendere incerta e aperta a speculazioni la sessualità di un personaggio, quanto basta per incuriosire spettatori o lettori interessati alla rappresentazione LGBT e scandalizzare coloro che in questi casi gridano subito allo scandalo o al complotto. Tuttavia, spesso accade che in questi casi gli autori si guardino bene dallo svelare la sessualità di quel personaggio e si mantengano invece neutrali, in modo da non alienare né l’una né l’altra fetta di pubblico, quella che è LGBT-friendly e quella che non lo è. È una tecnica di marketing geniale perché tutti abboccano all’esca del queerbaiting, senza distinzione di orientamento sessuale o politico. E così si genera conversazione, buzz, intorno a quel personaggio e al prodotto che lo vede protagonista, cioè pubblicità gratis. Vi ricorda qualcosa? Esatto: è proprio quello che è successo e sta tuttora succedendo con Elsa. Per scoprire se si tratta di queerbaiting a tutti gli effetti oppure no, dovremo aspettare l’uscita di “Frozen 2”. Nel frattempo… continueremo a parlarne. Bene o male: alla Disney non importa. Francesca Trinchini