Le settimane post-voto sono di solito caratterizzate da accordi partitici atti a costituire un governo e quindi a riavviare quanto prima il percorso istituzionale e riformativo di un paese. Peccato che il paese in questione sia l’Italia e qui da noi.. beh, come dire.. tutto questo sarebbe “troppo semplice”, forse anche “banalmente scontato”. Abbiamo due vincitori indiscussi: Luigi Di Maio da un lato e Matteo Salvini dall’altro, ma sono due vincitori neanche a metà. Si, perché con la nostra legge elettorale, riapostrofata dal poro Ettore Rosato come “ideale per garantire governabilità” (magari su un pianeta che sognava da bambino), servono due vittorie insieme: la prima è quella del 40 percento, roba che sarebbe quasi impossibile anche in un’ipotetica nazione di 100 cittadini in cui 40 si mettono d’accordo per vincere le elezioni e nella speranza di non fregarsi a vicenda; la seconda vittoria è quella di poter quindi formare un governo. Nessuno dei nostri vincitori ha conseguito questi risultati, eppure non riesce loro di interrompere i festeggiamenti. Sono personaggi che hanno un non so che di disordinatamente shakespeariano.. dai, vagamente shakespeariano.. anzi.. va be’, vengo alla similitudine: Salvini ricorda un giovane Macbeth, o magari un suo lontano cugino acquisito, che vuole giustamente il potere per sé, vuole governare; come ogni dramatis persona ha tuttavia una tendenza al pathos, accentua ogni sua mossa, la pubblicizza, ci fa campagna elettorale a campagna elettorale finita.. cosa che dovrebbe far riflettere per le implicazioni. Questo nobiluomo del nord deve soprattutto fronteggiare un suo avversario: non Di Maio, ma Berlusconi che come uno Shylock (lo so, cambiamo opera, ma per questo ho detto che sono personaggi disordinatamente shakespeariani).. beh, come uno Shylock vuole qualcosa indietro; in fondo ha fatto vincere Salvini involontariamente e magari desidererà col tempo la sua sconfitta ad ogni costo, come un D’Alema di seconda mano.
Poi c’è Di Maio! Per lui si potrebbe parafrasare un passo del Riccardo III, in questo modo: “E così ricopro la mia nuda scaltrezza con antiche espressioni a me estranee rubate a Beppe Grillo e sembro un cinque stelle quando faccio la parte del democristiano”. Lo abbiamo visto contraddirsi, escludere divenendo inclusivo, biasimante e accomodante insieme: lo vediamo a sua volta proseguire la campagna elettorale. Chiaro cosa si sta delineando, no?! Salvini e Di Maio sono a un passo dal governo ma, per una difesa coerenza che staranno certamente odiando, sono per ora impossibilitati ad allearsi (o nel primo caso a fare altre alleanze), soprattutto perché perderebbero consensi; in vista di nuove elezioni, obiettivo posto solo ad una nuova legge elettorale di distanza, questa non sarebbe una buona mossa. Tuttavia, dopo gli ultimi anni di un governo di sconfitte meritate, a forza di aspettare un vincitore ci stiamo abituando all’idea di essere un popolo di vinti. È proprio necessario che la politica riparta bene in qualche modo, perché nella presente situazione quasi ogni discorso diviene attesa patetica che rende i pensieri vuoti, inutili, a volte semplicemente stanchi di tutto questo nulla di cui non ci rimane che il bisogno di lamentarci. Massimiliano Di Paolo