Quel 4 maggio 1949 che cambiò la storia del calcio italiano. Il grande Torino smette di volare.

Erano le ore diciassette di una piovosa e cupa giornata e la città di Torino, come del resto l’intero nord Italia, era avvolta da una perturbazione straordinaria. Quel 4 maggio del 1949 un muratore che abitava a poche centinaia di metri dal promontorio di Superga sentì un rombo diventare sempre più fragoroso fino a tramutarsi in un tonfo sordo, da impatto. Uscì in strada, nonostante la fitta nebbia. Seguirono il suo esempio altri concittadini, correndo verso la basilica che domina da quella cima. Scorsero i resti di un aereo, ancora avvolto in un fitto fumo nero. Trovarono un cappellano, che era all’interno della basilica e che si aggirava tra i resti di quell’aereo, don Tancredi Ricca.

Comprese, fin dal primo istante che posò lo sguardo, che per quelle persone non c’era più nulla da fare, che in quel Fiat G212 distrutto c’erano ormai solo persone prive di vita. Cosa aveva causato quella sciagura? Un guasto alle apparecchiature, si presuppone. Il comandante dell’aereo, alle 16,58, aveva comunicato che stavano per raggiungere la pista di atterraggio sorvolando la cima di Superga a una quota di duemila metri. In realtà, però, la quota era molto più bassa e la visibilità ridotta. L’impatto, quindi, fu inevitabile. I soccorsi giunsero sul posto e avviarono le operazioni di ricerca, almeno per identificarli, quando all’improvviso notarono due maglie granata con lo scudetto cucito sul petto. Ancora oggi, quell’urlo è indelebile nella memoria: “E’ il Torino! E’ l’aereo del Torino che tornava da Lisbona!”. Così terminò, nella maniera più tragica la storia di una squadra leggendaria, il Grande Torino.

Quella squadra fu capace di vincere ben cinque scudetti consecutivi a cui si va a aggiungere una coppa Italia, record solo recentemente superato dalla Juventus con i suoi sei scudetti consecutivi (e un settimo in arrivo). Una squadra che poteva contare su 10 undicesimi della formazione titolare della Nazionale Italiana, capace poche settimane prima dello schianto di battere il Portogallo per 4 a 1.

Il 3 Maggio del 1949 il Torino era in campo allo stadio di Lisbona, contro un’altra grandissima squadra, il Benfica, una partita amichevole. Per onorare uno straordinario giocatore, Ferreira, il capitano dei portoghesi. La partita in un clima di festa finì 4 a 3 per i Portoghesi. Non presero parte a quella spedizione, e quindi ebbero salva la vita Vittorio Pozzo, che preferì andare come inviato alla finale di Coppa di Inghilterra. Perché il suo nome non era molto gradito alla società Torino, e Nicolò Carosio, celebre voce sportiva, che aveva però la cresima del figlio quindi declinò l’invito. I giocatori che non parteciparono(quindi per questo si salvarono) furono invece: Sauro Tomà (bloccato a Torino da un infortunio) e un deluso Renato Gandolfi, il secondo portiere, a cui solo all’ultimo fu detto che in Portogallo non sarebbe andato.

Aldo Ballarin infatti convinse il presidente Novo a “premiare” per questo incontro amichevole suo fratello Dino Ballarin che in rosa era il terzo portiere. Perirono invece giocatori: Valerio Bacigalupo , Aldo Ballarin,Dino Ballarin, Émile Bongiorni , Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik,Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti,Julius Schubert. Dirigenti:Arnaldo Agnisetta,Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti. Allenatori:Egri Erbstein, Leslie Lievesley, Osvaldo Giornalisti:Renato Casalbore , Renato Tosatti, Luigi Cavallero. Equipaggio:Pierluigi Meroni,Celeste D’Inca,Cesare Biancardi,Antonio Pangrazi. Il Grande Torino la squadra d’Italia.

Domenico Corsetti

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