Ne avrete sentito parlare, certo. E, chissà, magari vi sarete entusiasmati nel leggere, o nel sentirvi raccontare, le sue straordinarie avventure. Tenetevi forte, questa è la storia di Amelia Earhart, una donna in grado di cambiare la storia dell’uomo grazie al suo incredibile coraggio, alla sua ostinazione e, perchè no, anche alla sua follia. Nata nel Kansas il 24 luglio 1897 non si appassionò subito all’aviazione, però. Durante la Grande Guerra venne assegnata in un ospedale militare canadese dove conobbe il pilota Frank Hawks che nel 1920 la invitò a provare l’ebbrezza del volo. Rivelazione che potremmo definire come il classico colpo di fulmine. Il volo gli era entrato nel sangue e, da quel momento, la vita di Amelia non fu più la stessa. Decise quindi di sfidare il sistema, all’epoca decisamente limitante per il gentil sesso. Decise di prendere lezioni di volo nonostante la scarsità di mezzi economici a disposizione. Problema, questo, che le creò ulteriore difficoltà nel percorso intrapreso per realizzare il suo sogno. Acquistò un biposto Kinner Airster (di seconda mano) che ribattezzò“The Canary” per il colore giallo acceso della fusoliera. Il suo talento esplose subito, raggiunse il record di 4200 metri di altitudine. La sua ostinazione, la sua abilità nel volo le procurarono nel 1928 la proposta di tentare la trasvolata atlantica. A proporre l’impresa ad Amelia fu l’editore George P. Putnam – che in seguito diventerà suo marito – che le affiancò il pilota Wilmer “Bill” Stultz ed il meccanico Louis “Slim” Gordon.
Il 17 giugno il Fokker F7 “Friendship” decollò da Trepassey Harbour nel Newfoundland per toccare nuovamente terra (dopo 21 ore di volo) a Burry Port nel Galles. Amelia Earhart divenne, così, la prima donna ad aver sorvolato l’Atlantico. La sua fama esplose facendola diventare un simbolo universale per tutte le donne, tanto che al suo ritorno negli Stati Uniti venne ricevuta dal Presidente Coolidge. Non volle però fermarsi qui, perché il suo obiettivo era quello di sorvolare in solitaria l’oceano. Passarono alcuni anni quando, 5 anni dopo, Charles Lindberg il 20 maggio 1932 con il suo Lockheed “Vega” lasciava il continente americano per Parigi. Il volo fu una tortura, ebbe diverse problematiche tra cui avarie meccaniche e rigide condizioni climatiche (gli aerei dell’epoca non erano confortevoli come quelli attuali). Problemi che la costrinsero a un atterraggio di fortuna nei pressi di una fattoria di Londonderry in Irlanda del Nord. Nonostante il cambio di programma sulla meta la traversata riuscì e portò Amelia ad ottenere dal Congresso degli Stati Uniti d’America, per mano del Presidente Hoover, la Distinguished Flying Cross, onorificenza che ottengono i membri delle forze armate che si sono distinte in una missione di eroismo.
Però la sua voglia di spingersi oltre non aveva mai fine, il suo ultimo volo doveva essere il suo capolavoro. Ai comandi di un Lockheed Electra l’ormai quarantenne aviatrice, avrebbe tentato il primo giro del mondo, per un totale di 29.000 miglia nautiche (53.000 km). Decollò con il navigatore Fred Noonan con il suo bimotore il 1 giugno 1937, il viaggio ebbe subito numerose difficoltà, diversi problemi tecnici, riuscì a fare tappa a Lae in Nuova Guinea, per poi ripartire verso la seconda tappa, l’isola di Howlan, in pieno pacifico. Viste le difficoltà una nave Costiera degli Stati Uniti mantenne con loro il contatto radio, ma dopo diversi avvisi di carenza di carburante, ci fu l’ultimo e funesto messaggio, alle 8.45 del 3 luglio, si perse ogni contatto con l’aereo della donna con le ali. Le ricerche durarono per molti giorni, ma il suo corpo non fu ritrovato se non nel 1940. Una donna di un enorme coraggio, di una feroce determinazione, che ha dimostrato in un periodo difficilissimo che essere donna non è un limite, del resto lei era la donna con le ali e così se ne è andata.
Domenico Corsetti