Trump taglia il traguardo dei 500 giorni di presidenza: America is back!

Quell’8 novembre 2016 sembra una data ormai smarrita nella memoria collettiva. La sua rivoluzione al grido di “Americanism not Globalism” è stata dirompente, avvolgente e radicale al punto da farci dimenticare di cosa ci fosse prima. Un tratto inconfondibile il suo, nei modi, nei termini, nelle scelte e nella filosofia che ha fatto sì che fosse discusso, oltraggiato, vilipeso, accusato, accerchiato ma anche e soprattutto amato, atteso, voluto. Questioni di punti di vista che non possono però non trovarsi d’accordo su una cosa, ovvero sulla “diversità” di Trump, su quella clamorosa unicità capace di scardinare ogni resistenza fino a condurlo dritto al 1600 di Pennsylvania Avenue.

I 500 giorni di presidenza sono inevitabile momento di bilanci, seppur provvisori, e analisi, seppur non definitive, sull’operato del tycoon da quando siede sullo scranno più plenipotenziario del Globo. Mentre il fuoco di rappresaglia dell’establishment spara a zero su questioni di presunte liaison prezzolate con la Stormy Daniels di turno (venute a galla rigorosamente a festa finita e a Santo tornato in Chiesa) o solletica le fantasie degli oppositori ventilando crisi coniugali nella West Wing della Casa Bianca, mentre Hollywood vede i propri araldi del buonismo liberal cadere a terra uno dopo l’altro, dall’amico e finanziatore dei Clinton, Weinstein all’iperdemocratico Kevin Spacey, mentre attrici comiche sul viale del tramonto come Katy Griffin cercano di attirare l’attenzione generale facendosi ritrarre con una finta testa del Presidente mozzata e sanguinolenta (perché, si sa, a loro la provocazione è concessa), mentre l’autoreferenziale e stucchevole parata perbenista degli Oscar segna il record negativo di ascolti nella storia della manifestazione con l’edizione targata 2018kermesse più politicizzata di una convention elettorale, mentre “il sistema” prova a fare squadra pur di arginare l’onda, il Trump Train procede a tutto vapore e l’America non smette di segnare record su record. Sono infatti 2,8 i milioni di posti di lavoro creati dall’amministrazione guidata da The Donald che hanno portato ad uno storico tasso di disoccupazione del 3,8%, il più basso dal 2000 ed ai livelli del secondo dopoguerra, il tutto con tassi occupazionali record per ispanici e afroamericani, beneficiati dalla rivoluzione fiscale del “razzista” di cui sopra, uno choc termico dell’economia americana frutto del radicale abbassamento delle aliquote, che ora si aggirano sul 20% col modello “flat tax” e di una deregulation pervasiva che ha portato all’abrogazione di migliaia di prescrizioni normative ed al taglio netto delle tempistiche burocratiche (oggi, in America, un negozio lo si apre in 48h), il tutto condito con aumenti salariali pari al 5% con picchi maggiori nei settori manifatturiero ed energetico dove centinaia di aziende hanno de-delocalizzato facendo ritorno in patria grazie alle migliori condizioni tributarie venutesi a creare. Non “solo” lavoro, anche lotta senza quartiere all’immigrazione clandestina con un calo drastico degli ingressi illegali che sfiora l’80%, ottenuto per mezzo di politiche di rafforzamento del controllo dei confini e con l’avanzamento del progetto di rafforzamento del famigerato muro col Messico. Trump, sin dalla prima ora, si è fatto inoltre promotore delle istanze “pro life limitando normativamente la casistica della prassi abortista, rafforzando le tutele nei confronti dei nascituri ed adoperandosi attraverso il “Right to Try Act” per l’apertura a cure sperimentali riservata ai malati terminali. Non mancano i successi in politica estera che vanno dagli accordi con Cina e Giappone per la riduzione del deficit commerciale alle arcinote schermaglie col dittatore coreano Kim Jong-Un col quale verranno personalmente intavolati discorsi di pace con oggetto la penisola asiatica il prossimo 12 giugno a Singapore, avviando, si spera, una distensione agognata da 50 anni e smentendo i presagi di olocausto elaborati dai tanto cari “esperti” e analisti.

Parlare di Trump è lo sport internazionale più praticato ed il pensiero collettivo tende a doverlo forzatamente ricondurre sotto etichette il meno lusinghiere possibili. Questa chiosa ha l’umile obiettivo di svelare il lato oscuro di una critica sorda ai successi riportati dall’agenda presidenziale nel mondo reale, dimostrando, semmai ce ne fosse bisogno, la modesta caratura delle invettive e delle argomentazioni a contrario rivolte all’amministrazione Trump. Piaccia o no, i numeri e i fatti sono questi. L’America è tornata a vincere. Absit iniuria verbis, soloni.

Antonio Rico

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