Una vita spesa sulle pedane italiane di tutto il mondo a conquistare ori olimpici, mondiali ed europei, a dominare i campionati italiani e a primeggiare con la nazionale di fioretto. Andrea Baldini, livornese doc, è tra gli schermidori tricolori più vincenti degli ultimi anni. Da un paio di stagioni si è trasferito a Boston per intraprendere un percorso di studi complesso, certamente, ma anche estremamente ambizioso. Lo abbiamo raggiunto per saperne di più su questa nuova avventura e sul suo futuro in pedana.
1- Ciao, Andrea, prima di tutto: come te la passi negli States e come procede il tuo percorso alla Fletcher School of Law and Diplomacy?
Tutto bene, grazie. Sono impegnato in un master di secondo livello della durata di due anni. Attualmente sto frequentando gli esami del secondo semestre. E’ tutto molto interessante, l’ambiente è davvero stimolante e gli studenti provengono da tutte le parti del globo. Avendo perso un pò l’abitudine a studiare, ammetto che inizialmente non è stato facile adattarsi. Adesso, però, ho trovato la mia strada.
2- Nel 2012 sei entrato a far parte del mondo Unicef diventandone ambasciatore. Col senno del poi, pensi che quell’esperienza abbia condizionato e influito sulla tua scelta di tornare sui banchi di scuola per approfondire alcune tematiche?
Si, nel 2013 sono stato nominato testimonial dell’UNICEF Italia con particolare riferimento alla campagna “Vogliamo Zero”, incentrata sulla lotta alla mortalità infantile. In realtà la scelta di tornare a studiare l’avevo presa già da tempo. A essere sinceri non posso negare che con UNICEF avrei voluto collaborare di più, anche per approfondire sul campo alcune tematiche come l’educazione nei conflitti armati. Tuttavia l’attenzione principale di questa associazione, per lo meno a livello nazionale, era rivolta alla raccolta fondi e all’incremento del volume delle donazioni. Avevano, pertanto, maggior necessità di associare le loro campagne a volti più noti, in grado di garantirgli ciò che cercavano.
3- Ti stai specializzando sulle relazioni nei conflitti internazionali e sul mondo islamico. In entrambi i casi ci sarebbe molto da dire, vista l’attuale situazione mondiale. Credi che di queste problematiche se ne parli in modo sufficiente e, soprattutto, corretto?
Il master che sto portando avanti è molto flessibile e offre la possibilità di ritagliarsi un percorso di studi tra una vasta e qualificata scelta di professori e materie. I miei due Field of study sono: “Global Migration” e “Middle-East”. Quest’ultimo è da sempre uno dei teatri geopoliticamente più complessi per via del delicato equilibrio di potenze in gioco nel conflitto siriano. Pensiamo, infatti, alla recentissima escalation fra il governo turco nei territori curdi di confine e l’intervento delle truppe di Assad, oppure l’eterna questione palestinese, ma anche la primavera araba. Quelle citate sono alcune delle tante questioni irrisolte del nostro tempo. In questa Università, piuttosto liberale devo dire, tali dilemmi vengono trattati dai professori non solamente con l’ottica dei paesi occidentali. E questo è un bene, perchè spesso in classe emergono svariati punti di vista, tutti molto validi, che insegnano al rispetto dell’opinione altrui. Si impara, soprattutto, a porsi le giuste domande, non solo a trovare le risposte.
4- Le politiche internazionali, però, non sembrano essere tutte d’accordo su come affrontare le ondate migratorie. Da studioso della materia, nonché da residente negli U.S.A., che idea ti sei fatto del “Muslim Ban” voluto da Trump?
Secondo i dati delle Nazioni Unite, ci sono circa 243 milioni di migranti ad oggi dispersi nel mondo (3% della popolazione mondiale). Di questi, gli Stati Uniti ne accolgono ogni anno circa un quinto (47 milioni nel 2017) risultando, per distacco, la prima nazione in termini di accoglienza. Ma i numeri assoluti spesso offrono uno scenario fuorviante. Personalmente sono contrario al “Muslim Ban” voluto da Trump, non solo da un punto di vista etico ma anche perchè ritengo sia controproducente in un’ottica di regolarizzazione dei flussi migratori stessi. Le restrizioni sulle immigrazioni non riducono veramente il numero di immigranti irregolari ma contribuiscono, invece, a un cambiamento da migrazione circolare a migrazione permanente. La soluzione non può, pertanto, consistere nel bloccare fisicamente la gente – con un ban o un muro come proposto dallo stesso Trump – al confine col Messico ma, al contrario, si devono creare confini nazionali “flessibili” che consentano ai migranti regolari (quelli che lo fanno per lavoro, riunificazione familiare o rimpatrio) di entrare per un periodo ben preciso salvo poi essere incentivati a rientrare nei paesi di origine. Bisogna stoppare solo la migrazione illegale non documentata.
4- Inevitabilmente questa scelta ha inciso su ciò che ti ha reso un’eccellenza italiana: la scherma. Sei stato a lungo atleta di punta della nazionale di fioretto e sei ancora giovane per il ritiro. Come ha accolto la Fis questa tua decisione?
La FIS, tramite il presidente Scarso e l’Aeronautica Militare (mio gruppo sportivo), mi ha aiutato a regolarizzare la mia posizione di studente all’estero capendo benissimo queste mie nuove esigenze. Non posso far altro che ringraziarli. Forse mi aspettavo qualche parola in più dal mio commisario tecnico nel provare a trattenermi ancora qualche anno. Questo non è accaduto e quelle parole non sono mai arrivate. Avevo comunque preso la mia decisione, anche se ammetto di esserci rimasto male.
5- Possiamo affermare che, nonostante l’Italia sia una potenza mondiale della scherma, nel nostro paese costruirsi un futuro restando nel settore è assai arduo?
Non sono totalmente daccordo. Una volta finita la carriera di schermidore ci sono tante possibilità di far parte di una delle scuole magistrali migliori al mondo. Oltre alla professione di Maestro si puo’ diventare CT o far parte di qualche direttivo del Comitato Olimpico. Inoltre anche le opportunità all’estero per un ex schermitore italiano, che intende rimanere nel mondo della scherma, non mancano. Ne sono testimonianza i tanti cd italiani alla guida di nazionali straniere.
6- Anche se lontano dalle pedane tricolori, però, non hai abbandonato il fioretto. So di alcuni impegni che stai portando avanti a Boston..
Si, non ho appeso il fioretto al chiodo. Mi alleno regolarmente anche qui a Boston cercando di farmi trovare pronto per le gare nazionali (Italiane) che disputerò per l’Aeronautica Militare, come gli assoluti che si terranno a giugno a Milano. Inoltre sto muovendo i primi passi come allenatore, seguo due volte a settimana cinque ragazzini americani e alleno costantemente la mia ragazza, Irem Karamete, olimpionica della nazionale Turca.
7- Quali sono le differenze principali che stai riscontrando tra la scuola di scherma statunitense e quella nostra? Il movimento a stelle e strisce è in rapida ascesa..
Gli Stati Uniti nella scherma sono diventati molto forti, non ce’ dubbio, ma siamo ancora a livello di poche fortissime individualità. Il loro movimento non è ancora in forte ascesa, però. In tanti club americani dove sono stato ho trovato un livello medio piu basso del nostro. Qui può aprire una palestra di scherma chiunque abbia passato un corso elementare di psicologia infantile. Non è richiesta la conoscenza della scherma, infatti. Di conseguenza c’è molta approssimazione e tante palestre puntano a fare business. Dall’altro lato, invece, qui negli Stati uniti investono molto nel sistema sportivo all’interno delle Universita’. Il desiderio di entrare anche gratuitamente a far parte di un college prestigioso crea concorrenza fra gli schemidori (e a volte anche fra i parenti) che investono sin da piccolissimi in questo percorso sportivo.
8- Hai già pensato a cosa fare dopo aver conseguito il Master? Quali sono le prossime sfide che hai messo nel mirino?
Il master, salvo imprevisti, dovrebbe terminare a Maggio 2019. Vorrei poi cercare lavoro in qualche organizazione internazionale che opera nel mediterraneo, sempre relativamente al tema dei migranti. In particolare mi piacerebbe curare le relazioni tra la comunita europea e il governo turco circa questo delicato tema. Per muovere i primi passi in tal senso quest’estate ho in programma di fare un “Internship” a Instanbul e a Gaziantep (confine con Siria) in un campo profughi.
9- Andrea, il tempo a nostra disposizione è finito. Grazie per la tua disponibilità. A te le ultime parole famose per salutare i tuoi fans e gli appassionati della stoccata..
Un saluto affettuoso a tutti gli appassionati di scherma che amano questo sport almeno quanto me! Sappiate che ne vale davvero la pena!
Federico Falcone