Non si può restare in silenzio dinanzi alla foto di un bambino in gabbia che, come se la situazione non fosse già abbastanza grave di per sè, era scoppiato in lacrime perché non trovava la via d’uscita. Anzi, non si deve. Ma andiamo con ordine: la foto che sta facendo il giro del web, e che ritrae un minore piangere dentro dietro una recinzione metallica, è stata scattata lo scorso 10 giugno a Dallas durante una manifestazione di protesta contro le detenzioni dei bambini migranti. Nel corso di questo sit-in, un gruppo di giovanissimi ragazzi era rinchiuso simbolicamente dentro una cella che corrispondeva vagamente a quella divenuta virale grazie al tweet del giornalista Jose Vargas. Lo scatto è stato pubblicato da Leroy Pena, uno dei membri del gruppo di protesta (Brown Berets de Cemanahuac – Texas Chapter) al fine di raccontare come potevano sentirsi i bambini presenti realmente nei centri “detentivi” americani.
Sebbene, però, la foto sia stata divulgata per il web senza tali precisazioni, racchiude in sé una situazione emergenziale che merita di essere considerata. Reale è invece la foto di una bambina in lacrime a McAllen in Texas al confine con il Messico, in fuga dalle violenze dell’Honduras, in attesa che un agente americano terminasse la perquisizione della madre, divenuta simbolo di quello che sta accadendo da alcuni mesi a questa parte negli States. La foto è stata scattata dal fotografo John Moore che ha documentato il momento straziante che molti bambini si ritrovano a vivere al confine tra Stati Uniti e Messico. Dallo scorso ottobre, secondo quanto rivela l’Ufficio per i rifugiati del Dipartimento per la salute e servizi umani degli Stati Uniti, sono circa 1.995 i bambini che alla frontiera sud occidentale al confine con il Messico sono stati separati dai propri genitori accusati di essere entrati illegalmente negli USA . E tutto questo è semplicemente il risultato di una politica inumana e senza alcun fondamento giuridico che l’amministrazione Trump sta elargendo nei confronti di chi, disperato, osa mettersi in viaggio per sfuggire alla violenza, alle guerriglie e all’instabilità del proprio paese natio, sperando di essere accolto in uno Stato dove la criminalità non la faccia da protagonista e non distrugga il futuro dei propri bambini.
Ma si sbaglia. Il popolo americano, che storicamente rappresenta la commistione di innumerevoli culture extracontinentali, non sarà lì ad accoglierlo se non con un dollaro in tasca o un fantomatico permesso costato fior di quattrini o almeno non lo farà fin quando la politica di immigrazione resterà tale. Le separazioni fanno parte di una nuova politica di “tolleranza zero” che l’amministrazione americana ha predisposto per il controllo delle frontiere. In tutto questo c’è un “ma”. Benché se ne dica e sebbene Trump abbia accusato l’opposizione democratica di essere stata responsabile di queste pratiche aberranti, i dati parlano chiaramente. Sono più di duemila i bambini che sopportano traumi e sofferenze causate da questa scelta politica. Tra le storie raccontate dai giornali americani c’è stata anche quella di un bimbo di 4 mesi tolto di forza dalle braccia della madre che lo stava allattando. Ma tanti sono i casi di adulti espulsi e rimpatriati senza i loro figli, rimasti nei centri speciali statunitensi. Spesso ci vogliono mesi affinché adulti e minori vengano riuniti, tempo durante il quale i bambini rimangono soli in un paese straniero in cui non conoscono nemmeno la lingua. I minori vengono affidati poi ai servizi sociali che si mettono alla ricerca di un adulto cui affidarli, ma la pratica è complessa, dispendiosa, ai limiti della legalità e immorale.
E, nel frattempo, dove stazionano i minori? Giornalisti che hanno avuto la possibilità di visitare i “rifugi” dove i bambini dormono hanno raccontato che questi luoghi tutto sono tranne che dei posti adatti a dei bambini. Assomigliano più a dei luoghi di detenzione. Il giornalista Jacob Soboroff che ha visitato il centro allestito in un ex supermercato nella città di Bronwnsville, in Texas, dove sono “detenuti” quasi 1.500 bambini, ha raccontato che sono concesse loro solo due ore al giorno all’aria aperta. Simili racconti fanno venire la pelle d’oca, rievocano ricordi del passato che l’umanità non può permettersi di rivivere. Ci auguriamo che l’amministrazione Trump si renda conto di quanto regresso ci sia nelle proprie scelte e che effettivamente si adoperi almeno per porre fine ai traumi ingiustificati e ingiustificabili che sta arrecando a bambini e famiglie innocenti e senza alcuna colpa per essere nati in paesi meno fortunati degli States o dell’Europa. L’umanità, l’uguaglianza e il rispetto devono essere valori alla base di qualsiasi scelta politica, che sia oltre oceano o nel Bel Paese. A buon intenditor….
Antonella Valente