Duro colpo alle politiche sull’immigrazione di Salvini da parte della Cassazione con un’ordinanza la 19819/18, resa in data odierna dalla sesta sezione civile. Per i giudici di legittimità lo straniero irregolare può permanere in Italia fino a che la commissione territoriale che decide sulle richieste di protezione internazionale non si pronuncia sull’istanza di asilo anche se la stessa è stata presentata dopo il provvedimento di espulsione. Nella fattispecie, è stato accolto il ricorso di una straniera priva di permesso di soggiorno contro la decisione del Giudice di Pace di Catania che aveva rigettato l’opposizione al provvedimento di espulsione, sostenendo che l’istanza per il riconoscimento della protezione internazionale non fosse ostativa al decreto di espulsione, in quanto, nel caso di suo accoglimento, la richiedente non sarebbe stata rimpatriata ma accolta in un apposito centro. Ma per la Suprema Corte non è così in ragione della complessa normativa a tutela dei richiedenti asilo che trova la sua conferma nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea che a sua volta affonda i propri principi nelle direttive europee del Parlamento europeo e del Consiglio in materia: il ricorso va accolto e la Prefettura condannata alle spese del giudizio di merito e di legittimità.
Nella decisione si legge il principio secondo cui «il riferimento al periodo che intercorre tra la presentazione della domanda di protezione internazionale e l’adozione della decisione da parte dell’autorità, da una parte, e la possibilità di disporre il trattenimento del richiedente, sottoposto a procedure di rimpatrio e allontanamento (articolo 15 della direttiva 2008/115), in ipotesi di ritenuta presentazione strumentale da parte sua della domanda di protezione, inducono a concludere che il principio, secondo cui il richiedente asilo ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato in pendenza di esame di tale sua domanda, non soffra eccezione allorché la stessa sia stata presentata dopo l’emissione di provvedimento di espulsione, ferma restando la possibilità, in concorso con gli altri presupposti, di disporre il suo trattenimento». Tali conclusioni comportano il divieto di espulsione e l’erroneità del provvedimento del giudice di pace che la presentazione della domanda sia avvenuta in pendenza del giudizio. La Suprema Corte, quindi, accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito annulla il decreto di espulsione.
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