Cassazione: registra conversazioni sul lavoro, licenziato. E’ violazione dei principi di buona fede e correttezza

Registrare le conversazioni che avvengono sul posto di lavoro tra colleghi, e a loro insaputa, “configura una grave violazione del diritto alla riservatezza” con conseguente legittimità del licenziamento del dipendente che compie questa “grave e intenzionale violazione dei principi di buona fede e correttezza”. Lo sottolinea la Cassazione che ha confermato la perdita del posto di lavoro nei confronti di un magazziniere della ‘Compagnia Trasporti Voluminosi’, con sede in Abruzzo, che aveva registrato un colloquio tra due colleghi e una intera riunione aziendale al fine di denunciare il datore di lavoro per mobbing. Oltre al fatto che il mobbing non e’ stato provato, nel processo – ricorda la Cassazione – e’ stato dimostrato che il magazziniere era si’ stato adibito anche all’esecuzione di mansioni inferiori al suo profilo professionale ma senza che gli fosse “precluso lo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica posseduta”. Senza alcun successo, il lavoratore ha sostenuto che non poteva essere trasferito da un magazzino all’altro perche’ “la carica di consigliere comunale rivestita lo rendeva insuscettibile di trasferimento”. L’obiezione non e’ stata tenuta in alcun conto e gli ‘ermellini’ – sentenza 11999 – hanno convalidato il verdetto emesso nel 2016 dalla Corte di Appello de L’Aquila che aveva evidenziato il “sostanziale disinteresse del lavoratore al rispetto dei doveri di riservatezza connessi all’obbligo di fedelta’ e dei principi generali di correttezza e buona fede”, oltre all’assenza di “comportamenti mobbizzanti”. Il lavoratore licenziato con lettera del novembre 2008, e’ stato anche condannato a pagare alla controparte 4000 euro di spese legali. Anche in primo grado, il Tribunale di Chieti aveva ritenuto corretta la massima sanzione disciplinare.

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