Niente di scandaloso. Tutto, invece, largamente prevedibile. Nella sua versione più contraddittoria, però, si chiama coerenza. E, bella o brutta che sia, quando è presente è giusto e doveroso sottolinearla. Già, perché in un paese in cui la Musica (chiamiamola con la M maiuscola, per favore) viene relegata a mero intrattenimento o, peggio ancora, considerata alla stregua di un prodotto usa e getta, ecco che fa clamore una band di ragazzetti “sui generis” che si esalta a sciorinare in tv il proprio bagaglio di appunti sul come copiare e emulare un elenco di artisti – sapientemente studiato a tavolino – cui attingere per bucare lo schermo. Badate, ce n’è uno per ogni esigenza. Basta solo capire bene il gusto del pubblico e il gioco é fatto. L’aspetto più grave, però, è il patetico tentativo di sembrare originali e trasgressivi a tutti i costi. Ogni occasione avuta è stata ben sfruttata per gettare fumo agli occhi degli spettatori (non ascoltatori, che è diverso), mettendo in mostra una “personalità” costruita su un collage di influenze artistiche e estetiche con l’ovvia conseguenza di risultare tristemente derivativi e sconfinatamente impersonali. Ecco perché è inevitabile e, quindi, corretto che la cara Selvaggia vada a finire su quello che una volta rappresentava il baluardo cartaceo della musica rock. Una volta, appunto. Perché la logica dell’hype ha definitivamente scavalcato quella della competenza per materia e della qualità. Il clamore prima dell’argomentazione. Lo share prima di tutto. E lei, da navigata ascoltatrice di rock, per presentarsi ai lettori cita il metaforico “concetto di popolo rock” paventato dall’inimitabile Adriano Celentano, che rock non è, buoni 15 anni fa. Tutto torna. Tutto è coerente. Pietra tombale. Punto di non ritorno. O di risalita, speriamo.