Dostoevskij scrisse: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dallo stato delle sue prigioni”. Questa affermazione si può parafrasare affermando che è il livello delle campagne elettorali a dire lo stesso, se non molto di più. Assistiamo in questi mesi alla celebrazione di una competizione di chi fa a gara a chi è più bello, quando in questioni politiche questi concetti raramente coincidono; momenti del genere, tuttavia, offrono molti spunti di riflessione per cui si possono citare più argomenti per sottolineare l’infantilità e la pochezza del dibattito in corso sui temi elettorali. Nello specifico, consideriamo due questioni. La prima. Prendiamo il caso delle false rendicontazioni di alcuni pentastellati per la parte di stipendio da decurtare e da destinare al microcredito alle imprese. Ai cinque stelle è stata mossa questa accusa: non possono governare il paese se non sono in grado di tenere sotto controllo i propri rappresentanti.
Questione lecita da sollevare, tuttavia è necessario aggiungere alcune considerazioni di non poca importanza. Innanzitutto, per come si ragiona in molti dibattiti televisivi e giornali, prevale un modo di argomentare che suggerisce il fenomeno sia diffuso a macchia d’olio nel Movimento. Ad oggi il numero dei coinvolti non supera le 10 unità; non poche, ma se facciamo un conto di tutti i rappresentanti eletti del M5S, tra consiglieri regionali, senatori, parlamentari e sindaci quel numero diventa poca cosa. Come spesso accade, a puntare il dito è chi sottrae dal proprio sguardo qualcosa che sia posto prima dell’indice teso.
Prendiamo il Partito Democratico: negli anni recenti, c’è stato davvero un controllo interno tanto ferreo a tutti i livelli? I rappresentanti del partito democratico coinvolti nello scandalo di mafia capitale, i vari arresti, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e i suoi celeberrimi scontrini, le ingerenze dell’ex Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti col parlamento Maria Elena Boschi sulla vicenda Banca Etruria, i recenti guai in cui è incorso Roberto De Luca, assessore al bilancio del Comune di Salerno e figlio del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, e così via, sembrerebbero suggerire il contrario. Tuttavia, il PD dà sfoggio di bravura in merito alla questione del monitoraggio e della conoscenza dei membri del partito. Questo è risibile, come evidente a chi dovesse decidere di non soffermarsi solo ai fatti delle ultime settimane di campagna elettorale, ma invece di dare uno sguardo anche a vicende non più vecchie di un infante.
Nel contempo, anche nel Movimento 5 Stelle viene mostrata una certa incoerenza, per cui è difficile trovare dei critici dell’operato del Movimento all’interno del Movimento, al punto in cui sono incorsi in una sopravvalutazione morale dell’operato dei propri rappresentanti tale da far considerare superfluo un controllo maggiore su possibili irregolarità tra i loro “cittadini” eletti; come ho detto, le dimensioni del fenomeno sono piccole, inoltre non ci sono stati reati, eppure i pentastellati non avrebbero risparmiato ad altri partiti accuse come quelle loro rivolte, se fossero stati dall’altra parte del dito. Potremmo andare avanti e citare contraddizioni in altri partiti, come ad esempio le lezioni morali date dall’On Brunetta, i proclami di Silvio Berlusconi sulla lotta all’evasione fiscale nonostante la condanna per frode fiscale, ma penso quanto detto sia già sufficiente per porre una domanda: come possiamo aspettarci un buon governo da partiti che faticano ad essere partiti nel merito? Da qui il collegamento con la seconda questione: abbiamo capito in molti la debacle che ha caratterizzato la politica italiana e per questo abbiamo sotto sotto compreso che le promesse elettorali sono per lo più mendaci o troppo difficilmente attuabili, l’abbiamo capito e infatti ci scandalizziamo ormai poco.
Di volta in volta, gli slogan di un partito sono maggiormente legati a questioni di sbandierata purezza, bravura, impeccabilità che operato concreto. Per persuadere i cittadini indecisi, alcuni rappresentanti politici si lasciano andare a dei “si, abbiamo fatto molti errori, però siamo migliori”, come se bastasse dire questo. Direi che il celebre paradosso dell’asino di Buridano ha smesso di essere un puro esercizio mentale ed è diventato riscontrabile nella realtà di questa campagna elettorale: il povero asino si trova difronte a due mucchi di fieno; nell’indecisione di quale mucchio scegliere, muore di fame; molti di noi, come l’asino, si arrovellano nella scelta di chi sia giusto votare. Perché, parlando con franchezza e in modo forse scontato, in questa situazione disordinata si possono avere le idee definite solo in due casi: quando si è schierati a prescindere, o quando si è veramente ben ponderato cosa fare. Ma la seconda categoria è in minoranza: è quella che certamente non vincerà alle prossime elezioni. Massimiliano Di Paolo