“La nostra missione è preservare il tuo cervello abbastanza bene da mantenere tutti i tuoi ricordi intatti: da quel capitolo stupendo del tuo libro preferito alla sensazione dell’aria fredda in inverno, da fare una torta di mele a cenare con i tuoi amici e la tua famiglia. Se i ricordi possono essere veramente preservati con una tecnica sufficientemente buona di brain banking, pensiamo che entro questo secolo potrebbe diventare fattibile il digitalizzare il tuo cervello conservato e usare quelle informazioni per ricreare la tua mente”.
È quello che si legge sul sito ufficiale di Nectome, una startup il cui nome sta iniziando a comparire sulle riviste più celebri di cultura scientifica. Il suo obiettivo è a dir poco esaltante: conservare la memoria di un essere umano e caricarla sul cloud, in modo da far “resuscitare” la mente di quella persona, identica a com’era un istante prima della morte. Già, perché chi vuole che Nectome conservi il suo cervello (al modico prezzo di 10mila dollari) deve necessariamente sottoporsi all’eutanasia. Nonostante il servizio offerto da Nectome sia “100% fatale” – come hanno scherzato i due giovani co-fondatori, Robert McIntyre e Michael McCanna, entrambi laureati all’MIT – la startup sta ricevendo notevoli finanziamenti (ad oggi, un milione di dollari) e “prenotazioni” da parte di chi è abbastanza folle, o lungimirante, da farsi congelare il cervello dopo la morte. Ma Nectome può veramente realizzare ciò che promette, o si tratta di mera fantascienza?
Innanzitutto, cerchiamo di capire quello che Nectome, attualmente, fa: può preservare criogenicamente un cervello in modo da poterne studiare il connettoma, cioè l’intera mappa di connessioni neurali tra le sinapsi. Come? Attraverso una tecnica di “vetrifissazione”, cioè un processo di fissazione chimica a base di glutaraldeide (un fluido da imbalsamazione), combinato alla vetrificazione, una forma di crioconservazione che avviene a -122°C e si serve del glicole etilenico (una sostanza utilizzata nei comuni liquidi antigelo) per evitare la formazione di cristalli di ghiaccio che potrebbero danneggiare le sinapsi. Con la “vetrifissazione” Robert McIntyre e il suo team sono riusciti a preservare perfettamente il cervello di un coniglio, vincendo il Brain Preservaton Prize nel 2016. La “vetrifissazione”, tuttavia, uccide l’essere vivente sul quale viene praticata, perché il fluido da imbalsamazione va pompato direttamente nelle arterie. L’idea è quella di eseguire la “vetrifissazione” sul cervello ancora vivo degli esseri umani che hanno scelto il suicidio assistito. E poi? Una volta ottenuto il connettoma di un essere vivente, come si possono estrapolare i suoi ricordi?
Qui sta l’inghippo: ancora non lo sappiamo. Nectome promette di conservare il tuo cervello nella speranza che, nel futuro prossimo, saremo capaci di farlo. Ma alcuni neuroscienziati sono molto scettici nei confronti della proposta di Nectome. Ad esempio, non sappiamo quante informazioni il connettoma può fornire precisamente sul comportamento di un essere vivente. Siamo riusciti a mappare il connettoma completo del verme Caenorhabditis elegans – che è lungo un millimetro e ha 7000 sinapsi nel cervello – ma non siamo ancora riusciti a comprendere il modello secondo il quale il sistema nervoso del verme produce i suoi comportamenti: per farlo, mappare il connettoma è necessario, ma non sufficiente. Come possiamo pretendere di riuscire a realizzare quest’ambiziosissimo progetto con il cervello umano, che di sinapsi ne contiene 100 miliardi di miliardi? Solo nella nostra corteccia cerebrale, ci sono tante sinapsi quante stelle potrebbero riempire 1500 galassie grandi come la Via Lattea. Il problema è che non sappiamo ancora come i ricordi vengono immagazzinati, né abbiamo saputo individuare precisamente dove si trova un ricordo nella struttura fisica del nostro cervello: perciò, non dovremmo fidarci di una startup che promette di tirarli fuori solo dal connettoma. La faccenda è molto più complessa. Tuttavia, non possiamo che essere affascinati e intrigati dal tentativo… ne riparleremo tra cento, o duecento anni. Francesca Trinchini