Torino. Apre oggi a Torino il 26° Salone Internazionale del Libro, nel complesso di Lingotto Fiere. Denso ed eterogeneo è il programma degli eventi, distribuiti in cinque giornate di cultura, novità, creatività, didattica, divertimento e tecnologia. Non solo libri, dunque, o almeno non solo libri di carta. Un aspetto importante, che è presente nell’edizione 2013 del Salone del Libro, è il rapporto dei tradizionali libri cartacei con i nuovi mezzi digitali, non solo per la presenza di tablet ed e-book reader in alcuni stand, ma anche per la scelta tematica di alcune conferenze.
Open access e società globale della conoscenza
Open access e società globale della conoscenza è il tema dell’incontro che si è svolto oggi alle 13 nello “Spazio Incontri” del Salone, organizzato dalla SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) e dal Centro Nexa su internet & Società del Politecnico di Torino.
Alberto Oddenino, professore di Diritto internazionale all’Università di Torino, ha fatto notare come quello dell’open access sia un tema molto diffuso recentemente. Il professore ha utilizzato come esempio l’Unesco, secondo cui l’idea di pace deve nascere nelle menti delle persone, quindi è molto importante la cultura. “La società globale della conoscenza è resa possibile dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione e dalle disponibilità offerte dalla rete internet. Non sorprende che l’Unesco abbia deciso di dare il buon esempio dichiarando che tutte le sue pubblicazioni, a partire dal prossimo primo giugno, saranno open access.”
Ma cos’è l’open access? Lo ha spiegato Juan Carlos De Martin, co-direttore del Centro Nexa: “Per open access si intende la possibilità di accedere a risultati di ricerca, in primis quella scientifica, liberamente online“. I sostenitori dell’open access hanno enfatizzato il fatto che i risultati delle ricerche finanziate con soldi pubblici devono essere accessibili dai contribuenti. De Martin ha sottolineato che per l’adozione dell’open access ci vogliono tempo, incentivi e obblighi, assunti soprattutto dagli stessi ricercatori. Le scelte collettive dal basso, infatti, funzionano meglio di quelle imposte top down. Il professor De Martin ha poi esposto la decisione della Commissione Europea, del luglio 2012, di adottare l’open access per tutte le pubblicazioni finanziate con fondi europei nell’ambito del progetto Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione, promosso dall’Unione Europea. Il professore presiede la Commissione ministeriale formata per attuare quanto deciso dalla Commissione Europea sull’open access in Italia, cominciando dal rendere open l’accesso alle pubblicazioni di ricerche finanziate con fondi pubblici.
È poi intervenuto Claudio Giunta, professore di Letteratura italiana all’Università di Trento. Il professor Giunta ha messo in risalto l’aspetto economico del tema discusso: attualmente le biblioteche delle università italiane spendono moltissimi soldi per comprare riviste scientifiche, che negli ultimi anni sono diventate un vero e proprio business. I prezzi delle riviste di alcuni editori hanno subito una crescita esponenziale negli ultimi anni, prosciugando i fondi universitari che potrebbero essere utilizzati per altri scopi. Con l’open access si potrebbe risparmiare molto e destinare i fondi ad altri scopi universitari.
Certamente anche l’open access ha i suoi costi, sebbene l’ordine di grandezza sia totalmente diverso. Non si tratta, però, di cessare la pubblicazione di riviste scientifiche. Il professor De Martin ha sottolineato che il punto decisivo è creare le condizioni per rendere i risultati scientifici in quanto tali, finanziati con fondi pubblici, liberamente accessibili a chiunque.
Giornalismo digitale: la migrazione inevitabile dalla carta al web
Alle 15, nella Sala “Book to the Future”, si è svolto un incontro sul tema “Giornalismo digitale: la migrazione inevitabile dalla carta al web“, un occasione di confronto sui temi affrontati al Digital Festival, che si è tenuto a Torino dal 3 al 10 maggio.
Davide Mazzocco, giornalista e scrittore, autore del libro “Giornalismo digitale”, ha esposto le difficoltà nella riconversione dal cartaceo al digitale, soprattutto in Italia. La riconversione, ha precisato, non deve consistere in un semplice copia-incolla del materiale cartaceo: il passaggio dal cartaceo al web non è un semplice cambiamento di mezzo. “Dietro ci sono altre dinamiche condizionate dai motori di ricerca, i social network, che hanno ridisegnato il panorama, rendendolo più orizzontale”, ha affermato Mazzocco. Il ruolo del giornalista, quindi, è cambiato. Nel mondo digitale, essendo una figura professionale, ha il compito di selezionare e verificare la veridicità delle notizie, guidando il lettore.
Luca Rolandi, giornalista e redattore di Vatican Insider, ha raccontato la sua esperienza lavorativa, mostrando come è cambiato il rapporto dei media tradizionali con internet: solo recentemente si è capito che su internet serve un nuovo linguaggio, non si può semplicemente riproporre online gli stessi contenuti cartacei. Ha sottolineato, inoltre, come il giornalista digitale sia subalterno al giornalista tradizionale. Le due realtà devono coesistere: il sistema di informazione non deve essere web contro cartaceo, ma web con il cartaceo. Il web, per le sue caratteristiche, dovrebbe essere il canale primario di notizie, mentre il giornale potrebbe evolvere per proporre approfondimenti, che online si farebbe più fatica a leggere.
L’ultimo intervento è stato del giornalista freelance Paolo Piacenza, che ha analizzato il ruolo del giornalismo economico nell’attuale situazione sociale e di come si sia evoluto nel corso degli anni. “La digitalizzazione, per questo tipo di giornalismo, è fondamentale”, ha dichiarato Piacenza. Il Sole 24 Ore è stato il primo quotidiano italiano per copie digitali vendute, nonostante altre testate giornalistiche si siano avvicinate al web molto prima. In Italia, ha poi fatto notare Piacenza, c’è il problema della competenza dei giornalisti economici, che spesso non sono economisti. La questione chiave da risolvere è l’alfabetizzazione, perché è assente un lessico condiviso. Piacenza ha esposto: “Non abbiamo gli strumenti per parlare in maniera consapevole. Quando parliamo di concetti tecnici, abbiamo concezioni pressapochistiche anche nella stessa categoria dei giornalisti“.