Giovanelli: la Fir ha abbandonato il centro sud Italia, la nazionale è in alto mare e le franchigie sono un peso economico

Diretto e con le idee ben chiare, come quando, da capitano, guidava la nazionale italiana di rugby. La sua nazionale. Massimo Giovanelli è tra i rugbisti più amati e stimati in patria, complice la sua personalità carismatica e coinvolgente. Lo abbiamo intervistato dopo il tour che la squadra italiana ha sostenuto in Giappone e lui, con il consueto garbo che lo contraddistingue, si è lasciato andare a spunti di riflessioni che faranno discutere.

Il tour nipponico ha sciolto i dubbi circa la qualità della nazionale? Si inizia a vedere il lavoro di Conor O’Shea oppure c’è ancora da attendere?

Sul tema dell’organizzazione di gioco siamo ancora in alto mare; in difficoltà alle fonti di gioco (touches e mischie), possesso di palla poco efficace (scarsa velocità alla presa del pallone/sostegno spesso in ritardo) oltre a una difesa lacunosa (poca organizzazione/scarsa comunicazione/poco efficaci sull’uno contro uno)

Resta il problema cronico dello stato di forma. I nostri giocatori non reggono più di 60′. Il problema è da ricercarsi nella preparazione atletica fatta coi rispettivi team o nell’usura dettata da una stagione senza ricambi all’altezza?

Il problema dello stato di forma è che lavoriamo con dei parametri fisici nettamente lontani da quelli dei nostri competitors; i nostri primi cinque uomini non arrivano a una media di dieci punti di incontro per giocatore/partita contro i 25/30 dei loro omologhi irlandesi che, non a caso, sono in vetta al mondo. Resta l’annoso problema di una scuola di preparazione fisica autoreferenziale, slegata dall’evoluzione del gioco, che non riesce a formare giocatori potenti ma resistenti, forti ma dinamici, oltre che poco esplosivi.

Ma, in definitiva, C.O.S. è l’allenatore giusto per questa nazionale?

Credo che un conto sia avere delle idee, altro è riuscire ad applicarle. In un vero paese di rugby – che non è il nostro – se dopo due anni la nazionale non è in grado di esprimere un proprio gioco e continua a perdere, probabilmente l’allenatore cambierebbe. In Italia, essendo l’interesse mediatico per il rugby pari allo zero, potrebbe anche riuscire a battere il record di permanenza di Mallett che, tra una partita di golf e il record di sconfitte, era comunque riuscito a portare a termine il suo contratto.

È, attualmente, la terza linea il nostro punto di forza? Quale è il contributo che Parisse può dare da qui al prossimo mondiale?

La terza è un buon reparto, a patto che tutti si mettano a placcare e non solo a fare i ball currier…Parisse è ancora un grande giocatore, a patto che venga utilizzato come perno di gioco e non solo come ariete che garantisce sempre il possesso di palla. Se ben utilizzato può veramente essere una sorta di regista “altro”, a patto che inserisca il “passaggio al tempo giusto” nel suo vocabolario tecnico….

Cambiando argomento: per Benetton e Zebre è stata una stagione tutto sommato positiva. Come dobbiamo leggere questi numeri? Come un’inversione di rotta che sta dando i suoi frutti o come risultati, tutto sommato, episodici?

Le franchigie finanziariamente sono un peso insostenibile per il nostro movimento, soprattutto perché drenano fondi senza produrre “entrate finanziarie” legate sia alla prestazione che al bacino di interesse. Probabilmente, se collocate fin da subito a Roma, Milano o Napoli, con una strategia imprenditoriale a monte, invece di quella politica, oggi avremmo tutt’altri risultati sia in termini di pubblico che sportivi. Oggi è il momento di avere coraggio, di fare scelte lungimiranti, che prediligano il territorio e non dei carrozzoni slegati dal movimento di base.

Le due franchigie hanno lanciato molti giovani. Alcuni di questi sono nel giro della nazionale. Possiamo dire che è stato colmato il vuoto generazionale che era apparso netto fino a 3/4 anni fa?

Mi sembra che le franchigie siano dei superclubs che pescano più all’estero (con il criterio di naturalizzare giocatori già formati) piuttosto che continuare la difficile strada delle formazione di giovani talenti, per la quale mission sono nate.

Si torna a parlare di una franchigia romana. I numeri ci dicono, però, che non abbiamo le risorse necessarie anche solo per discutere di questa idea. È davvero un progetto necessario?

Forse potrebbe avere un senso farne una sola, con base a Roma, città di appeal unico ed irripetibile; ma rimango dell’idea che il movimento necessiti di altro.

In tutto questo, il centro – sud Italia sembra abbandonato a se stesso. Non sembra esserci il minimo interesse a sviluppare un bacino…

E’ un tema, quello dell’abbandono del centro sud, su cui dibatto da anni. Pensate se avessimo investito la metà dei fondi “regalati a fondo perduto” sulle franchigie (diciamo 40 mln di euro), nei campi, nelle strutture e nella formazione quanti campioni avremmo potuto strappare a situazioni difficili, di degrado o peggio. Penso alle periferie di grandi città come Napoli, Palermo, Bari: da sole valgono, in termini di materiale e risorse umane, come mille franchigie….

Il lavoro che si svolge nei settori giovanili è la chiave di svolta per lanciare il rugby italiano che sembra in una fase di declino inarrestabile?

La formazione disastrosa dei nostri tecnici di base non può che avere come risultato giocatori in età matura con scarse qualità tecniche individuali, che condizionano la riuscita di un gioco collettivo della squadra. Inoltre, molti nostri giovani, senza obiettivi davanti, con società spesso alla canna del gas, scelgono la strada di un abbandono precoce dello sport. Occorre tirare il freno a mano e ripartire dai veri valori del nostro sport.

Tour invernale e prossimo 6 nazioni. C’è il rischio di portare a casa gli stessi, ultimi, risultati? Se si, e facendo una previsione con largo anticipo, di cosa ci troveremmo a parlare?

Spero di sbagliarmi, ma non vedo grandi prospettive all’orizzonte. Ma, per buttare un po’ di polvere sotto il tappeto, è imperativo battere, senza se e senza ma, la Georgia. Per il resto proviamo a uscire dal campo con onore, giocando.

Ph: Sebastiano Pessina

Intervista a cura di: Federico Falcone – Antonio Rico

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