Giunge da Coverciano l’annuncio. Il futuro del nostro calcio, l’opera di ricostruzione della Nazionale dalle sue fondamenta sarà affidata a Roberto Mancini. È forse giunto il momento per il pragmatismo, idiosincrasia per molti “scienziati” del rettangolo verde, di tornare ad essere il nostro credo: non importeremo più esempi di successo, torneremo a fare del nostro successo l’esempio da esportare, scrollandoci finalmente di dosso quell’anacronistica purezza decoubertiniana che tanti lutti ha addotto a noi italici consumatori di pallone.
Dopo i falliti abboccamenti ad Ancelotti e Conte, naufragati per motivazioni non soltanto economiche ma senz’altro nemmeno per squisiti motivi tecnici, il culmine di questo turbolento periodo commissariale trova la quadra in Mancini. Giocatore sublime ma paradossalmente mai in armonia con la maglia azzurra, l’ex tecnico di City ed Inter sogna di «essere il Ct che riporta l’Italia dove merita, in Europa e nel mondo» e con lui lo sogniamo tutti. Pur avendo ottimi anticorpi al virus del “tiqui-taca”, pur osando essere semplice ammiratore ma non seguace del “guardiolismo”, assistendo a questa conferenza stampa soltanto 3 o 4 anni fa avrei storto il naso, non lo nego. I “maestri di calcio”. Ci hanno insegnato ad amarli, a nutrire in loro fede incrollabile, abbeverandoci nel loro vangelo estetico pur di soddisfare la nostra sete di possesso palla. Pazienza poi se pretendevano stage infrasettimanali in calendari già impraticabili, se imponevano il loro modulo a giocatori abituati a fare tutt’altro, se lanciavano strali verso quei maledetti club che si lamentano di vedersi spogliati del loro patrimonio per un’amichevole sperimentale con S. Marino perché a “bel gioco”, si sa, non si guarda in bocca. E quindi tutti insieme “fino al palazzo” ma poi son problemi se il portone lo si trova chiuso. Che succede se un’insulsa barricata scandinava la espongono nella vetrina mondiale ed il tuo “gioco” resta a casa a prender polvere? Ho deciso di mettermi al fianco del Ct non appena ho udito provenire dalle sue corde vocali i seguenti fonemi: «se l’#Italia ha vinto 4 Mondiali vuol dire che può farlo anche se non si allena ogni giorno il gruppo» (affermazione che a Castel Volturno avrebbe scatenato una guerra civile), per toccare, infine, l’apoteosi del piacere nel momento in cui il neo Ct richiamava al rispetto per le prerogative dei club. Una controrivoluzione insomma. Il buonsenso inizia nuovamente ad attecchire nel Paese, lo vediamo a livello politico ma finalmente anche nelle dinamiche interne dello sport più amato dagli italiani.
È tempo adesso di mettere in pratica tutto questo e non ci sarà nemmeno il tempo per rifiatare. Arabia Saudita, Francia e Olanda ci aspettano nei prossimi 20 giorni e già all’esito di questo trittico capiremo molto della bontà di un modus operandi chiamato a risollevare le sorti del derelitto movimento azzurro, riportando, così, il nostro vessillo alto nel cielo. Mancio, please, make Italy great again!
Antonio Rico