“La nudità non è oscena, se non ti comporti in modo indecente. Del resto, quando Dio ha creato Adamo ed Eva, erano tutti nudi. E probabilmente anche Dio, nel giardino dell’Eden, era nudo come un bimbo!” (Bettie Page)
Capelli nerissimi e ondulati, pelle lattea, sorriso sbarazzino. Labbra rosse, occhi azzurri, forme piene e perfette. Ma soprattutto, frangetta cortissima e bombata. Potrebbe corrispondere all’identikit di Mia Wallace, il personaggio interpretato da Uma Thurman in Pulp Fiction. Oppure alla star del burlesque Dita Von Teese. O ancora, alla cantante pop Katy Perry. Invece è Bettie Page: a inventare questo celebre look – che negli anni è stato più volte saccheggiato, plagiato, reinventato – è stata proprio lei, la pin-up che negli anni ’50 ha sdoganato l’immaginario fetish.
Quella di Bettie, tuttavia, fu un’esistenza più tormentata di quanto trasparisca dal suo sorriso esuberante, grazie al quale riusciva a sdrammatizzare anche le scene più osé. Cresciuta durante la Grande Depressione, era una studentessa brillante ma il suo sogno era Hollywood. Aveva già iniziato a posare da pin-up quando finalmente le arrivò l’offerta di un produttore cinematografico. “Nel 1955 mi chiamò Howard Hughes. Disse che voleva farmi un provino nel suo studio. Ma io avevo sentito dire che non avrebbe fatto niente a meno che non fossi andata a letto con lui. Non sono una di quelle. Non l’ho mai richiamato”.
Così Bettie diventò la star delle riviste “da maschi” smerciate sottobanco, tra le quali Playboy. La sua sensualità era grintosa e creativa, il suo stile inconfondibile, la sua popolarità giusto a un passo da quella di Marilyn Monroe. Come ogni grande star, Bettie sapeva reinventarsi senza rinunciare allo stile che la rendeva iconica: posava nuda tra i ghepardi del Parco Naturale di Boca Raton, interpretava la dominatrix sadomaso con tanto di reggiseno appuntito e reggicalze (scene che per gli standard dell’epoca erano bollenti, ma che oggi ci fanno sorridere), compariva in topless sul paginone centrale di Playboy indossando solo il berretto rosso di Babbo Natale. Finché non decise di sparire completamente dalle scene nel 1957, al culmine del successo.
Cos’era successo a Bettie Page? In quegli anni l’FBI aveva aperto una maxi-inchiesta sulla “corruzione morale” provocata, tra le altre cose, anche dalla pornografia: fu coinvolto Irving Klaw, un fotografo e regista fetish che aveva contribuito ad accrescere la popolarità di Bettie. Ma quello che convinse definitivamente Bettie ad abbandonare la carriera da pin-up fu la sua conversione al cristianesimo, la notte di Capodanno tra il 1959 e il 1960. Desiderò ardentemente di diventare una missionaria; la Chiesa glielo negò poiché pluridivorziata. A chi la fermava per strada chiedendole se fosse proprio Bettie Page, lei rispondeva: “Chi?”. Scivolò, nel corso degli anni, nel fanatismo religioso e nel disturbo mentale. Le ferite più profonde nella psiche gliele aveva inferte molti anni prima il padre, che aveva abusato di lei e delle sue sorelle quando erano bambine. Bettie fu internata in una clinica psichiatrica nel 1983; quando fu dimessa, nove anni dopo, l’immagine di sé stessa che aveva costruito negli anni ’50 era diventata l’icona di un’epoca e un’ispirazione grandissima nella cultura pop. Ma nessuno ricordava più la donna che aveva generato quel mito. Perché, come per Marilyn Monroe, il dramma più triste della vita di Bettie Page è andato in scena dietro le quinte.
Francesca Trinchini