“Quante copie vendi?” si sente spesso domandare Erri De Luca. È una domanda cinica, ma tristemente inevitabile quando si parla di un autore così celebre e prolifico. “Una” risponde lui. “Poi ci pensa il mio editore, a moltiplicarle”. Erri De Luca non ragiona mai in termini di pubblico, di audience, di share, quando si tratta di persone – specialmente quando si tratta di lettori. “Per me, il plurale non esiste; il mio lettore è sempre uno solo. Tra scrittore e lettore non può che instaurarsi un rapporto uno a uno.” I numeri e delle percentuali cancellano la singolarità in nome della precisione statistica, scompare il dramma umano di quelle “piccole storie individuali che oppongono resistenza alla grande Storia“: innocenti colpiti dai bombardamenti, migranti che rischiano il “naufragio a mare calmo – una bestemmia, per la nostra civiltà mediterranea”.
Quando gli chiedono quale libro l’ha influenzato di più, Erri De Luca risponde: “Influenza? Piuttosto, i libri fanno compagnia”. Ma poi rivela: “Omaggio alla Catalogna, di George Orwell. Il mio classico preferito è Don Chisciotte“. Perché leggere? “Perché consente di essere proprietari, e non clienti della lingua italiana”. Leggere è “scalare le vie degli altri”: è avere una visione d’insieme sui sentieri altrui, perché non è detto che quella che abbiamo imboccato sia l’unica strada giusta. Ed è fondamentale per gli adolescenti, che una strada non l’hanno ancora scelta. “Siete interi. Tutte le vostre possibilità sono ancora dentro di voi, irrealizzate. Questo è causa di vertigine e incertezza, ma guai a essere saputi di se stessi: quando non sai chi sei, puoi arrivare dovunque”.
Idealmente, De Luca si stava rivolgendo a tutti gli adolescenti; ma era una platea giovanissima a cui stava parlando, quella degli studenti del Liceo Scientifico “Vitruvio Pollione” di Avezzano che hanno partecipato all’incontro con lo scrittore, tenutosi il 12 aprile. Quello che ha visto Erri De Luca protagonista è l’ultimo di un ciclo di tre eventi organizzati dal “Vitruvio” di Avezzano nell’ambito del progetto Gli scrittori si raccontano; nei mesi scorsi, sono stati ospiti del liceo avezzanese Dacia Maraini e Donatella Di Pietrantonio. L’incontro con Erri De Luca è stato introdotto dal dirigente scolastico Francesco Gizzi e moderato dalla professoressa Claudia Di Biase. Oltre che con le loro numerose domande – frutto di un lavoro pregresso sulle opere di De Luca – gli studenti hanno contribuito alla riuscita dell’incontro con la proiezione di un filmato prodotto indipendentemente da alcuni alunni, ispirato alle poesie “Valore” e “Mare nostro che non sei nei cieli”, e con la drammatizzazione, anche musicale, di alcune poesie di De Luca, a cura degli studenti Andrea Baiocco, Paolo Flammini, Emanuele Reale e Gabriele Valente.
Durante la conversazione con i ragazzi, Erri De Luca ha notato, divertito, che l’abitudine di “andare fuori tema” gli costava spesso voti bassi in italiano; da lì, la sua naturale propensione alla libertà, alla divagazione, al sovvertimento degli schemi precostituiti. “Chi legge molto va fuori tema“, perché la lettura è libertà: “In prigione, un carcerato esce dalla propria cella soltanto in due momenti, quando dorme e quando legge”. L’unica volta che il De Luca ragazzo riuscì a scrivere “in tema”, l’insegnante lo accusò di aver copiato: uno dei primi esempi, nota lo scrittore, del suo rapporto fallimentare con le autorità. “In tribunale non devi dimostrare la tua innocenza, sono gli accusatori a dover dimostrare che sei colpevole. Allo stesso modo, le autorità devono dimostrare di essere degne del ruolo che ricoprono. Come il mio professore di greco e latino, di cui parlo nel racconto Il pannello, che fa parte della raccolta In alto a sinistra“. Il dubbio nei confronti dell’autorità è sistematico, “non è una fede: va esercitato caso per caso”, evitando la generalizzazione. E nel suo caso? “Mi hanno accusato per via delle mie parole. Per me, è stata una violazione: le parole sono il mio territorio“. E ancora: “La parola contraria non è un no, è un sì ad altre cose”. Non un impedimento sterile, ma la fede in un’alternativa. Che è sempre possibile.
Francesca Trinchini