Tanto tuonò che piovve. All’esito delle consultazioni-ter indette da Mattarella la fumata è stata grigia e questo non può certamente sorprendere. Del resto, due mesi di andirivieni tra i leader politici avevano fugato ogni dubbio sullo stato dell’arte, decretando l’impossibilità di costituire una governo che raccogliesse la fiducia degli emicicli. Per superare l’impasse, il Presidente della Repubblica si è rifugiato in corner palesando l’eventualità di un “esecutivo neutrale” come unica alternativa al voto anticipato nelle finestre estiva o autunnale, ricevendo peraltro l’immediato benservito da Lega e M5S. I timori di possibili pressioni, ancorché indirette, della longa manus europeista a base della terza via prospettata dal Capo dello Stato sono, aldilà delle elucubrazioni del politicamente corretto, lì tutti da vedere.
“Un governo neutrale che, salvo accordi tra le forze politiche, vedrebbe il suo mandato esaurirsi a dicembre, approvata la manovra finanziaria, per andare subito dopo a nuove elezioni”. Questa, nelle parole di Mattarella, l’ultima carta da giocare prima di un ritorno immediato alle urne. Sono tuttavia le stesse argomentazioni poste a base di tale opzione dallo stesso Presidente della Repubblica a far riflettere, giacché i timori legati ad un ritorno estivo/autunnale alle urne (la prima data utile sembrerebbe essere il 22 luglio) vertono sullo spinoso tema della manovra finanziaria che, a detta dello stesso inquilino del Quirinale, sarebbe difficilmente confezionata “a mestiere” con i tempi contingentati derivanti dall’indizione di nuove elezioni. Personalmente credo alla buona fede e al senso dello Stato di Mattarella ma suonano alquanto sibilline le sue parole, specie ampliando l’analisi del quadro politico e tenendo in considerazione la puntualissima paternale arrivata negli scorsi giorni da Bruxelles da dove l’establishment europeista fa trapelare “preoccupazione” per l’instabilità politica tricolore, capace, a detta dei gerarchi UE, di produrre “conseguenze sui mercati”. Ecco, adesso tutto pare avere un senso. Questo modus operandi è un deja vù; l’abbiamo ascoltato con la crisi (artificiosa?) dello spread datata 2011 che spinse l’allora Premier Berlusconi a cedere il passo all’esecutivo dei Professori guidato da Monti, quello stesso governo che stillò lacrime e sangue dagli italiani per assecondare la pretesa egemonizzante della pax finanziaria europea ma è uno scenario che abbiamo imparato a conoscere anche attraverso la crisi greca, quando la Troika pretese la testa dell’euroscettico Varoufakis prima di allentare le briglie sui conti pubblici di Atene, elemosinando un secondo prestito ponte. I puntuali e secchi “no” arrivati da Salvini e Di Maio ad esecutivi di presunta responsabilità potrebbero aver già catapultato la pietra tombale sul progetto delineato da Mattarella, aprendo, de facto, una nuova campagna elettorale o, a seconda dei punti di vista, proiettando quella mai conclusa verso il suo reale epilogo.
Forse mai nella storia della Repubblica come in questo momento, il Paese necessita di una direzione politica, deve essere guidato da una governance “di parte” capace di stilare un’agenda coraggiosa che non badi ad equilibrismi di principio e non ceda ai pessimismi cosmici degli araldi della stabilità. Che sia estate (sarebbe la prima volta) o autunno, la strada verso nuove elezioni sembra spianata. Da cittadino, esco rincuorato dalla vicenda in oggetto perché l’Italia ha saputo battere un colpo. A voi muovere…
Antonio Rico