Quante volte in televisione, sulle maggiori riviste o quotidiani italiani o semplicemente dal dottore di famiglia abbiamo sentito dire queste parole: ”è importante fare sport, attività fisica”. Parole sacrosante che vedono sempre più persone cercare un modo di svolgere attività fisica ma il problema, però, inizia ad aversi quando parliamo di sport professionistico. In Italia erano solo sei le Federazioni sportive che potevano fregiarsi di questo titolo: Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.),Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.),Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.),Federazione Motociclistica Italiana (FMI),Federazione Italiana Golf (F.I.G.),Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.).
Erano perché la F.M.I ha chiuso al professionismo dal 2011, la F.P.I nel 2013, quindi in Italia ora solo quattro federazioni si fregiano di essere professionistiche, con il ciclismo che sta pensando di seguire la linea delle due Federazioni fuoriuscite. Ma cosa causa tutto questo? È abbastanza semplice da spiegare, la pressione fiscale il troppo onere di dover gestire le spese correnti per il professionismo, solo pochi sport in Italia riescono a mantenersi a galla, perché le sponsorizzazioni, gli introiti dai diritti televisivi sono fagocitati dal Calcio, basti pensare che la sola F.C. Juventus da sola con i diritti tv incassa mediamente tra i 105 mln e i 130 mln annui, a fronte di un incasso per le 16 società di Basket di 150 mila euro a club. Una sproporzione dovuta al mercato, il calcio ha un business abnorme rispetto agli altri sport, ma le colpe non sono da ricercare solo in questo, spesso chi governa le varie Federazioni è un politico riciclato, da 20.30 anni si scambiano i posti di comando e così suonano ancora attuali le dichiarazioni rilasciate a suo tempo da Valentina Vezzali nel 2015, una signora che ha fatto la storia del nostro sport, della nostra scherma.
“Oggi le atlete donne che fanno dello sport il loro lavoro si vedono costrette a gareggiare per il nostro Paese da dilettanti, con tutti i problemi che ciò comporta“, spiegò a Wired.it l’onorevole Valentina Vezzali, “dal percepire un compenso economico inferiore al 30% rispetto agli uomini che praticano la stessa disciplina, nessuna tutela e garanzia contrattuale e previdenziale. Altra discriminazione si ha anche perché lo sport femminile ha meno pubblico e quindi meno mercato“. Si perché le donne in Italia non sono professioniste, neanche nel calcio dove a differenza dei loro colleghi uomini le calciatrici risultano ancora dilettanti. A questo ovviamente va a sommarsi anche lo squilibrio di impianti tra Nord Italia e Sud Italia (dove spesso c’è stato sperpero di fondi) che precludi per molti appassionati la possibilità anche solo di “tentare” una carriera professionistica nello sport amato, negli ultimi anni qualche passo in avanti si sta facendo, ma sono sempre troppo corti rispetto ad altre realtà straniere, viviamo in un costante paradosso, dove sempre più persone praticano attività sportiva, ma sempre meno lo fanno a livello professionistico, spesso proprio a causa della mancanza di strutture idonee e di incentivi per poter coltivare la propria passione, a cui ovviamente va aggiunto il mancato riconoscimento di “professionismo”. È ora che la politica inizi seriamente ad occuparsi di sport, ma di tutti gli sport, non solo di alcuni, per ora come spesso accade per noi italiani ci adeguiamo, improvvisiamo cerchiamo di essere creativi per seguire le nostre passioni. Domenico Corsetti