“Questa sentenza rischia di vanificare anni di battaglie” (PD); “E’ un passo indietro nella punizione di un gesto ignobile” (Forza Italia). Questi i primi commenti negativi del mondo politico con riferimento alla pronuncia della terza sezione penale della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 32462/2018 ha affermato che nell’ipotesi in cui la vittima di una violenza sessuale di gruppo abbia assunto volontariamente dell’alcol, nella determinazione della pena non si potrà aggiungere l’aggravante del ricorso a sostanze alcoliche o stupefacenti secondo quanto previsto dall’articolo 609 ter del codice penale.
Ma ripercorriamo brevemente la vicenda per comprendere se effettivamente le accuse mosse dal mondo politico siano meritevoli di considerazione. In una sera del 2009 due uomini e una ragazza avevano cenato insieme, lei aveva bevuto e i due ne avevano abusato. La donna dopo poche ore si era recata al pronto soccorso raccontando tutto l’accaduto. Nel 2011 il Gip di Brescia ha assolto i due uomini considerando la vittima inattendibile. Di diversa opinione è stata la Corte di Appello di Torino che, riesaminando i referti del pronto soccorso, ha individuato dei segni di resistenza e ha condannato i due cinquantenni a 3 anni di pena con l’aggravante di aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche. Ma ora è tutto da rifare. La Suprema Corte con la pronuncia depositata ieri ha sì confermato la responsabilità dei due uomini nello stupro ma ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di Appello con riferimento al punto sull’aggravante.
È bene sottolineare che la Cassazione non ha in alcun modo teorizzato che lo stupro non c’è stato perché la vittima era ubriaca, al contrario, ha sì confermato tale circostanza, ma ha negato la possibilità di far ricorso all’aggravante del 609ter c.p. quando sia stata la vittima a far uso volontario dell’alcol. La Corte, quindi, ha voluto fornire una corretta interpretazione e lettura dell’art. 609 bis c.p. per cui la violenza sessuale si verifica quando “con violenza o minaccia o mediante l’abuso di autorità costringa un altro a compiere o a subire gli atti sessuali”. Il reato si verifica anche quando si sia abusato delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa al momento del fatto o traendola in inganno sulla propria identità.
In sostanza, quindi, secondo la Cassazione nel caso in cui una donna che abbia bevuto sia stata vittima di uno stupro, l’aggravante, nella determinazione della pena, si potrà applicare solo se l’autore del delitto abbia personalmente somministrato la sostanza alcolica alla donna. Nel caso contrario, no. E con questo la terza sezione penale ha rimandato il fascicolo in Corte d’Appello che sicuramente, avrà, però una matassa da sbrogliare: chi ha fatto bere la vittima? si riempiva consapevolmente il bicchiere o lo faceva qualcun altro al suo posto? Su questo avranno modo di chiarire i giudici, per il resto, come ha sottolineato il noto professore universitario Guido Saraceni sul suo profilo social “La Cassazione non ha avuto nulla da ridire sulla condanna, ma ha giustamente fatto notare che in base al nostro codice penale non si può applicare quella specifica aggravante”. Ovviamente, Saraceni, senza peli sulla lingua, ha anche criticato le immediate reazioni politiche che, condividendo il parere, non sembrano altro che uno strumento per “ottenere visibilità”.
Antonella Valente
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