Peter Norman, il campione australiano che non disse: “io non c’entro”. La sua memoria vive

Razzismo: una parola che vorremmo scomparisse per sempre dal nostro vocabolario ma che, invece, vediamo manifestarsi ogni giorno in diversi modi. Questa volta, però, vogliamo porre all’attenzione una forma di razzismo indiretto, capace di distruggere la vita di un essere umano solo perché si è mostrato solidale verso una causa antirazzista. È il caso di Peter Norman, velocista australiano che detiene ancora il record nazionale e “oceanico” nei 200 metri, uno dei talenti più puri che l’atletica leggera abbia mai visto, capace di lottare ad armi pari con due  “giganti” della velocità di quel tempo, ovvero Tommie Smith e John Carlos. Nelle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 riuscì a inserirsi tra i due conquistando la medaglia d’argento. Ma proprio da quella gara nacquero i suoi problemi.

Infatti, durante la cerimonia di premiazione di quella gara, Smith e Carlos  alzarono il pugno guantato di nero in aria,simbolo della protesta antirazzista per denunciare il razzismo ormai dilagante negli Stati Uniti. Quella foto passò alla storia. Con gli anni i due atleti di colore divennero un’icona, i loro nomi passarono alla storia, tutti però si dimenticarono “dell’uomo bianco”, che per decenni fu solo un figurante di quella cerimonia, quando in realtà fu un vero e proprio eroe, lui poteva benissimo far finta di nulla, invece decise di indossare sul petto una coccarda su cui era inciso: “Olympic Project for Human Rights”. Progetto olimpico per la difesa dei diritti umani. La stessa associazione che aveva promosso la clamorosa protesta di Smith e Carlos. Da li iniziò il suo incubo, tornato nella sua nazione  non venne accolto con enfasi, anzi venne immediatamente messo sotto accusa dalla sua federazione, lui che continuava ad essere il miglior velocista della nazione si vide escluso dalle successive Olimpiadi, dai Mondiali, gli venne impedito di calcare le piste internazionali, sempre più emarginato, pagò quel gesto a caro prezzo, gesto di cui però non si pentì mai. Smith e Carlos rimasero suoi amici, videro Norman soffrire nei suoi ultimi anni di vita  di alcolismo e depressione, toccante è l’immagine dei due ex velocisti che portano in spalla la bara dell’ex campione “aussie”. Per approfondire la storia di questo atleta vi consigliamo il libro di Lorenzo Iervolino:” Trentacinque secondi ancora”.

Solo il 28 Aprile del 2018 questo eroe, perché solo così può essere definito si è visto riconoscere i suoi meriti, è stato insignito dal Comitato Olimpico australiano l’Ordine di merito, la massima onorificenza sportiva. “È sicuramente un riconoscimento tardivo”, ha ammesso il presidente del Comitato olimpico australiano, John Coates. “Il rispetto per Peter e le sue azioni è ancora enorme, ha creduto nei diritti umani per tutta la sua vita. Abbiamo perso Peter nel 2006 ma non dovremmo mai dimenticare la sua coraggiosa reazione di quel giorno. E non solo perché il suo record non é mai stato eguagliato in Australia: il suo traguardo atletico non dovrebbe mai essere sottovalutato”,

Parole che però lasciano l’amaro in bocca, troppo tardive, cinquanta anni per riconoscere i propri errori sono troppi. Un uomo è morto lasciato solo dalle istituzioni del proprio paese, sportive e non, un uomo è stato isolato per un gesto di una bellezza assoluta, di coraggio e umanità. Alza la testa Norman, ovunque tu sia grazie per non aver detto quel giorno: “ io non c’entro”, grazie per aver dimostrato a tutti cosa è la vera grandezza.

Domenico Corsetti

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