Programmi, elettori e spogliarelli: strategie di amori distratti

Può sembrare strano, ma in questi giorni post-voto è arrivata a Luigi Di Maio una dura critica persino dal direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio. Ora, la cosa è inaspettata e sorprendente quanto un’uscita arguta della Santanchè, ma trova le sue ragioni in una questione lecita: perché i pentastellati si ostinano a non allearsi? Infondo sanno bene che in questo modo sarà loro impossibile formare un governo. C’è poi un altro aspetto che Travaglio evidenzia: nelle sue scelte, Di Maio non si cura del volere dei cittadini che hanno votato diversamente e che vuole guidare. Questi ultimi hanno opinioni differenti di cui non si può non tener conto, anche se esse possono “suscitare ribrezzo” tipo un Giuliano Ferrara in leggings che fa jogging su una spiaggia al tramonto. Da dove deriva allora tanta “miopia” in un leader che vuole governare il Paese? Descriversi col termine “movimento” non è casuale: è un termine diverso da “partito”, poiché esclude “vecchi vincoli ideologici” di ogni tipo. Un movimento è un gruppo inclusivo di persone accomunate da uno stesso obiettivo: in questo caso, provare a cambiare in meglio le cose. Tuttavia, ci sono molti tipi di cambiamento desiderabili: chi ha aderito a quel movimento ed aveva precedentemente posizioni di sinistra, vorrà cambiamenti più di sinistra; chi aveva posizioni di destra, cambiamenti di colore opposto. Infatti, non tutti i votanti del M5S accettano in toto il programma: c’è anche chi ha votato a scatola chiusa per una forma di protesta (in questo, il Casini in versione “bolscevico” ha aiutato molto). Ci sono poi i cittadini che hanno espresso un voto diverso, magari per altre esigenze, cosa dimostrata dalla divisione nord-sud dopo il voto del 4 marzo. Se uno vuole essere un buon premier, già questi sono motivi per non restare vincolati in modo mordace alle posizioni precedenti e al solo volere degli elettori più stretti. Bisogna tener fede alla propria apertura anche con delle alleanze, altrimenti nemmeno in questo caso siamo molto distanti da “vincoli ideologici”. Consideriamo poi il fatto che una forza che va al governo deve spesso affrontare scelte impreviste (tipo l’abbandono di un punto programmatico importante); queste scelte potrebbero dividere anche i fedelissimi della prima ora, perché fuori tema rispetto a quanto “precedentemente concordato”.

In tutto ciò, Di Maio si ostina a restare sulle sue posizioni; ha accennato lontanamente ad una possibile contrattazione sui nomi dei ministri, ma soltanto col Quirinale! Pretende poi che siano gli altri partiti a dover fare un passo verso di lui e a cedere su tutto. Manco la politica fosse un film tipo Ieri, oggi, domani e quei partiti (cioè il PD) dei Marcello Mastroianni che si gustano lo spogliarello di una Sophia Loren ammiccante e a cinque stelle. Di Maio deve capire che questa cosa non accadrà per un motivo semplice: in politica, chi mai si alleerebbe con qualcuno al solo scopo di dare un vantaggio numerico e senza avere nulla in cambio?! Gli stessi pentastellati si rifiutarono difronte ad una proposta affine ed in una situazione non troppo dissimile: streaming cum Bersani docet. In tutta la loro buona volontà, forse i Cinque Stelle hanno commesso un unico, grossolano errore: pretendere di essere i migliori “piloti nel deserto”, ma senza mettere in conto prima del via probabili e doverose deviazioni sul percorso. Per dirla con Woody Allen, la lezione più dura che devono imparare è soprattutto una: “se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti”. Massimiliano Di Paolo

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