Una settimana prima di morire, Stephen Hawking ha dato gli ultimi ritocchi al suo final paper – l’ultimo studio della sua vita – che, secondo alcuni colleghi, gli sarebbe finalmente valso il premio Nobel. Il Sunday Times ha affermato che questo studio “potrebbe essere la più importante eredità scientifica di Hawking”. Nei giorni scorsi, numerosi organi di stampa – italiani e internazionali – hanno presentato la notizia in toni particolarmente enfatici. “C’è traccia di altri universi” titola il Corriere della Sera. La Stampa rincara la dose: “L’ultima scoperta di Hawking: in principio era il multiverso”. The Independent e The Sun hanno entrambi affermato che Stephen Hawking ha predetto la fine del mondo (o dell’universo). Del resto, non possiamo biasimare il loro entusiasmo: come ha argutamente osservato la testata scientifica Discover Magazine, le parole “l’ultimo studio di Stephen Hawking” hanno già un certo sapore di leggenda.
Alone mistico a parte – generalmente i fisici teorici non apprezzano il sensazionalismo – cos’è scritto veramente nell’ultimo studio di Stephen Hawking? È riuscito a provare l’esistenza di altri universi, predicendo al contempo la fine del nostro?
In realtà, no. Ma facciamo prima un po’ di chiarezza.
Lo studio in questione è apparso per la prima volta a luglio 2017 su arXiv, un archivio online per bozze definitive di articoli scientifici, in versione pre-print – il che significa che non è stato ancora sottoposto al vaglio della peer-review da parte di altri esperti della comunità scientifica, necessario per la pubblicazione ufficiale su una rivista accademica. Il documento ha subito delle modifiche sostanziali il 4 marzo, esattamente dieci giorni prima della morte di Hawking. Che, in realtà, non ne è l’unico autore: ha collaborato al paper anche il fisico belga Thomas Hertog, esperto di cosmologia quantistica e teoria delle stringhe. Lo studio si intitola “A Smooth Exit From Eternal Inflation?” (“Una via d’uscita liscia dall’inflazione eterna?”). Lo stile peculiare di Hawking contraddistingue anche il titolo, con quel garbato punto interrogativo alla fine: la punteggiatura è importante, anche quando si parla dell’origine dell’universo. E quel punto interrogativo da solo dovrebbe far capire che la natura dello studio è più che altro speculativa.
Innanzitutto, il presupposto su cui è basato l’intero paper è una congettura, che al momento non è generalmente accettata nella comunità scientifica: si tratta della teoria dello stato senza confini (“no-boundary”), ipotizzata dal fisico James Hartle e da Stephen Hawking stesso all’inizio degli anni ’80. Inoltre, il modello cosmologico preso in esame da Hertog e Hawking è un toy model che semplifica enormemente la realtà per rendere i calcoli più fattibili. Tutto ciò non ci deve stupire – in fisica teorica, specialmente per le ipotesi sulla nascita dell’universo, questa è la prassi – ma deve aiutarci a ridimensionare le nostre aspettative. Dobbiamo ricordare che la ricerca di Hawking esiste largamente nel campo della teoria: le sue idee sono talmente radicali che provarle empiricamente è (ancora) impossibile. Tuttavia, le domande a cui Hawking ha dedicato questo studio sono più che valide e il paper propone una nuova, interessante ipotesi che potrebbe aiutarci a raggiungere una risposta. Si tratta però di un lavoro teorico ai primissimi passi: non è stato provato ancora nulla, non ci sono conseguenze osservabili delle ipotesi di Hertog e Hawking, nulla da misurare, nulla da sperimentare – almeno, non ancora. Prima di poter parlare di multiverso, c’è ancora molto da approfondire.
Ma ci sono due cose da notare. La prima: “C’è una possibilità poco sopra lo zero che qualcosa sia vero. E nella fisica teorica, un’idea nuova con una possibilità vale infinitamente di più di nessuna nuova idea”, come ha affermato su Forbes l’astrofisico Ethan Siegel. La seconda è che “nel suo ultimo studio, Hawking ha approcciato uno dei più importanti e ardui problemi della fisica moderna, che va oltre il regno del nostro universo, e ha proposto una strada possibile verso la sua soluzione”, come ha riassunto il fisico Andrei Linde. “Siamo capaci di raccogliere la sfida?”.
Non lo sappiamo ancora, ma ci proveremo. Per Stephen. Francesca Trinchini