“Leggevo e leggevo, ed ero affranto e solo e innamorato di un libro, di molti libri, poi mi venne naturale, e mi sedetti lì, con una matita e un lungo blocco di carta, e cercai di scrivere, fino a che sentii di non poter più continuare perché le parole non mi sarebbero venute come ad Anderson, ma solamente come gocce di sangue dal mio cuore.” Quest’estratto è da Sogni di Bunker Hill, l’ultimo romanzo di John Fante. Era la fine degli anni ’70 e queste parole, “come gocce di sangue dal suo cuore”, John Fante le stava dettando a sua moglie, perché il diabete gli aveva tolto la vista. Morirà nell’82, senza poter vedere la ristampa completa dei suoi romanzi che Bukowski – il suo più devoto apostolo – volle.
John Fante è nato a Denver nel 1909; la madre era di Chicago, il padre di Torricella Peligna (Chieti). L’esperienza del padre, emigrato italiano in America, riaffiorerà in Aspetta primavera, Bandini, il primo romanzo (secondo, in ordine di stesura) della saga di Arturo Bandini, che tratta della scalcinata infanzia dell’eroe e dell’influenza del padre Svevo sulla sua formazione. Ma Arturo Bandini è apparso per la prima volta ne La strada per Los Angeles, di cui Aspetta primavera è un prequel: qui Arturo ha diciott’anni, vuole diventare un grande scrittore, legge Nietzsche ma non ci capisce niente, è un megalomane e un egocentrico. Ed è, fin dal primo istante, l’alter ego letterario di John Fante, che attraverso la sfrontatezza assurda ma sincera di Arturo può liberamente ridicolizzare quelle convenzioni sociali che, negli anni ’30 del ’900, erano più che sacre. Vi ricorda qualcuno? Esatto: Charles Bukowski. “Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso” disse Bukowski di Chiedi alla polvere – il terzo romanzo della Saga Bandini – che, narra la leggenda, trovò per caso in una biblioteca, come se avesse trovato “l’oro nell’immondezzaio cittadino”. Cos’avevano in comune Fante e Bukowski? Innanzitutto Dostoevskij. “Una sera, mentre la pioggia batteva sul tetto spiovente della cucina, un grande spirito scivolò per sempre nella mia vita. Reggevo il suo libro tra le mani e tremavo mentre mi parlava dell’uomo e del mondo, d’amore e di saggezza, di delitto e di castigo, e capii che non sarei mai più stato lo stesso. Il suo nome era Fëdor Michailovič Dostoevskij” scrive Fante ne La confraternita dell’uva.
Sia Fante che Bukowski sono debitori della lezione russa dell’800, tanto che Bukowski trova in Fante un degno emulo degli autori russi che aveva divorato voracemente. Tanto da spingere lo scrittore Marco Vichi ad affermare: “Come quella russa, [quella di Fante] è una letteratura che parte dal basso, dalla terra, dalla concretezza della vita”. A concludere la vita di John Fante e di Arturo Bandini assieme arriverà Sogni di Bunker Hill, ambientato a Hollywood: come Fante – che ha lavorato con Dino De Laurentiis – Bandini si è “venduto” all’industria cinematografica, ma la sua nuova vita non gli sembra luminosa come quella di un tempo. Allo stesso modo Fante si spegnerà in una semi-oscurità, sulla quale getterà luce proprio Bukowski, che combatterà sempre per dare a Fante il riconoscimento che si meritava. “Non molto tempo dopo aver scoperto [Fante], mi misi a vivere con una donna. Beveva come una spugna, anche più di me, e assieme facevamo delle litigate feroci, durante le quali le gridavo: Non chiamarmi figlio di puttana! Io sono Bandini, Arturo Bandini! Fante era il mio dio”. Forse, un tempo, Bukowski avrebbe detto a John Fante: “Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ha fatto onore…”
Francesca Trinchini