Tante sono state le volte in cui abbiamo sentito parlare della Corrida, nonostante fosse estranea alla nostra cultura. Altrettante le volte in cui abbiamo assistito al sollevarsi di manifestazioni contrarie a questa lontana tradizione spagnola. Ma la corrida esiste ancora. Dunque, accettarla in quanto parte della storia di un intero paese o rifiutarla in nome del diritto degli animali, in questo caso dei tori, a cui viene inflitta una tortura senza alcuno scopo? Non sta di certo a noi decidere cosa farne di una pratica millenaria appartenente a un territorio che non è il nostro, ma questo celebre tipo di tauromachia senza dubbio non può lasciare indifferenti gli spettatori: o lo si ama o lo si odia. Reduce da un viaggio in Spagna, durante il quale ho assistito personalmente ad una corrida tenutasi nella “Plaza de toros de Las Ventas”, la più importante arena di tutta la Spagna e la terza più grande del mondo, posso dire di aver tratto le mie conclusioni riguardo questo complesso e polemico argomento: tradizione sì, ma fino ad un certo punto. L’unico piacere che ho avuto è quello di essere riuscita ad entrare nel vivo della cultura spagnola, di aver compreso, o almeno cercato di comprendere, il loro modo di fare e di vivere momenti di festa a 360 gradi: la piazza sovraffollata di cittadini e turisti pronti ad assistere allo spettacolo, le urla all’interno dell’arena e quell’atmosfera che, lo devo ammettere, riesce a creare una singolare sensazione di appartenenza alla patria.
Ma questa apparente e ingenua euforia si smorza non appena il “gioco” ha inizio. E’ nel momento in cui il toro mette piede all’interno dell’arena che affiora la consapevolezza che nel giro di 20 minuti verrà brutalmente e inutilmente ammazzato. E che nei prossimi 120 minuti, altri 5 tori avranno lo stesso destino (la corrida prevede l’uccisione di 6 tori da parte di 3 toreri che si alternano nello spettacolo). Inutile ricordare quelle che sono le regole e le innumerevoli varianti di questo rito dal momento che, in ogni caso, si concluderà con uno spargimento di sangue dell’animale in un clima di macabra estasi popolare. Eh già, si parla proprio di estasi: applausi da parte di un pubblico orgoglioso di aver preso parte alla festa nazionale per eccellenza e di aver goduto dinanzi al violento massacro di un essere vivente. Un rito che, per quanto mi riguarda, genera ed alimenta pura violenza. Il maltrattamento degli animali e la crudele sofferenza a cui sono destinati prima di morire non può passare in secondo piano, insieme alla pericolosità a cui sono esposti gli stessi toreri. Dati impressionanti sulla morte di giovani ragazzi impegnati in questi riti testimoniano che la corrida, tanto quanto le altre feste taurine (la più importante quella di San Firmin a Pamplona), è controproducente. Ma forse non così tanto per le casse spagnole.